DAGOREPORT – QUANTO DURERA' LA STRATEGIA DEL SILENZIO DI GIORGIA MELONI? SI PRESENTERÀ IN AULA PER…
Emanuela Audisio per “La Repubblica”
Niente waka-waka. Mama Africa sloggia. Per un colpo di tacco. Lo stesso che 32 anni fa spaventò l’Europa. Ma allora era l’algerino Madjer, «il tacco di Allah», a mettere paura al vecchio continente. Benvenuto al sud nel pallone non esiste. O te lo bucano, o finisce fuori dalla porta, o lo svendi tu. L’ultimo ad essere premiato come miglior calciatore è stato il liberiano Weah, nel ‘95.
Da vent’anni c’è chi sogna la liberazione dell’Africa in area di rigore, senza scomodare i dannati della terra di Frantz Fanon, ma l’appuntamento è sempre rimandato. Il futuro sarà nero, sentenziano da tempo gli allenatori più illuminati. Sarà, ma il presente non ha la forma di quel continente.
Il mondiale perde pezzi e mondi: prima l’Asia, fatta fuori subito, insieme a un pezzo di Mediterraneo, Italia, Spagna, ex Jugoslavia, Grecia, ora l’Africa che lotta, si ribella, resiste, ma non va ai quarti. In Sudafrica c’era riuscito il Ghana, nel 2002 il Senegal, in Italia nel ‘90 il Camerun, qui Nigeria e Algeria si sono arenate. Ogni volta sembra la volta buona, quella del passo avanti, ogni volta non se ne fa niente. La carrozza diventa zucca e tocca scendere.
Con liti tribali, accuse di corruzione, colpi alla schiena. Nessun principe nero a baciare la Coppa, solo un saluto da lontano. Anche se Djabou che ha segnato al 121’ l’inutile gol dell’1-2 si metterà al volante di una Porsche, promessa da un uomo d’affari algerino a chi segnava alla Germania. Su cinque africane tornano a casa tutte, qualcuna a testa alta come la commovente Algeria. Ma il sapore di sale resta, su ferite aperte e su illusioni chiuse. Per dirla alla brasiliana: «Africa guerreira no adeus».
Certo sono storie diverse, l’Algeria si affaccia sul Mediterraneo, s’identifica con il calcio da quando Albert Camus giocava in porta, senza sentirsi lo straniero, ha un sacco di piccoli Zidane all’incontrario, giocatori di rientro dalla Francia, e un tecnico bosniaco con un casco di capelli bianchi che l’altra notte è rimasto in piedi davanti alla panchina, quasi pietrificato, fino a quando non ha abbracciato, mangiandosi le lacrime, l’ultimo giocatore. Era il suo lungo addio ad una squadra senza tanti fenomeni, ma umile e moderna, disposta a sudare, anche per questo la Francia tifava Germania, altrimenti nei quarti si sarebbe trovata davanti l’Algeria nell’anniversario della festa d’indipendenza (e chi glielo diceva a Marine Le Pen?).
Ora coach Vahid Halilhodzic, 700 mila euro l’anno, se ne andrà (l’aveva già annunciato a prescindere dal risultato), non ha paura dei pericoli, è stato il primo ferito nella battaglia di Mostar, gli hanno anche bruciato casa. Dopo la partita non si è presentato in conferenza stampa e in questi giorni si era rifiutato di rispondere ad una domanda sull’osservanza del Ramadan. Come a dire: «Chiedetemi di calcio, non di religione, non facciamo folklore». Tutta la squadra ha omaggiato il ct con le parole del difensore Bougherra: «Ci è mancato poco, ma ci abbiamo sempre creduto, perché lui ci ha spinto a farlo, si è raccomandato di non disunirci e di restare organizzati. Ci ha dato convinzione e mentalità. L’Algeria gli deve molto».
L’Africa nera invece vanta un solo primato. Quello della disunità. E della marcatura a uomo del cash. Sa alzare la testa e correre, quando la partita è per i soldi. Nigeria, Camerun, Ghana hanno scioperato, discusso, litigato (anche con pugni e testate) per avere il premio in contanti. Mentre la Grecia (sgangherata, ma nobile) ci ha rinunciato devolvendolo alla costruzione di un centro di allenamento.
Quando da Accra il gruzzolo (3 milioni di dollari) è arrivato con un corteo di furgoni blindati alla James Bond c’è chi come John Boye, del Ghana, si è fatto fotografare mentre baciava i bigliettoni. Dopo tanto trasporto ha pure segnato, ma nella sua porta. Sul Camerun (tre partite giocate, tre perse) è stata aperta un’inchiesta della federazione con tanto di indagine della polizia, pare la nazionale si sia venduto il match con la Croazia, quello dei 4 gol subiti. Anche se l’ex portiere Bell nega: «Siamo stati pietosi, tutto qui». Freme anche la Costa d’Avorio di Gervinho e Drogba. Ma con le accuse di Yaya Tourè, centrocampista del Manchester City: «Gli arbitri ai mondiali sono stati contro di noi, ma non importa a nessuno, perché siamo una squadra africana. È uno scandalo che ci priva di qualcosa di enorme».
L’unico passo avanti dell’Africa è che per la prima volta porta un suo ct negli ottavi. Stephen Keshi, 52 anni, ct della Nigeria, saluta: «È stata una bella esperienza, mi sono divertito, ma ora è arrivato il momento di lasciare e di affrontare nuove sfide». È il sesto allenatore che lascia la panchina dopo il mondiale, forse andrà in Sudafrica. Il suo testamento: «In Belgio nell’86 se entravo in un supermercato e toccavo la frutta, la buttavano via». L’Africa: fino a quando uno scarto?
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