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Matteo De Santis per “La Stampa”
C’è una macroscopica no-fly zone a forma di stivale nelle rotte che contano del calciomercato. Gli aerei con campioni, assi, top player o presunti tali non passano più per l’Italia. L’attuale traffico in entrata e in uscita per l’Europa dei pezzi da novanta ratifica la decadenza della serie A, incapace ormai da anni di mantenersi la boutique grandi firme che era nel secolo scorso.
Il denaro circola altrove: 436,35 milioni di euro il momentaneo scontrino dello shopping dei club della Premier League e 315,66 le spese temporanee di tutta la Liga. Cose e cifre dell’altro mondo, soprattutto se paragonate ai 198,57 usciti fino a ieri dalle casse delle società del nostro campionato e di poco superiori ai 190,6 - in attesa di colpi del Bayern - sborsati dall’industria Bundesliga.
La traduzione in nomi, cognomi e acquisti dei flussi di denaro e delle spese pazze degli altri traccia un confine sempre più invalicabile tra i campionati a cinque stelle e quelli, come il nostro, costretti ad arrangiarsi. Le migliori merci finiscono solo nelle vetrine dell’Europa ricca.
Come James Rodriguez, il colombiano stella del Mondiale, costato al Real Madrid 80 milioni sull’unghia - da versare al Monaco - più un ingaggio annuale da 8 netti fino al 2020: oggi la presentazione in pompa magna al Bernabeu. O Luis Suarez, strappato per un milione di più dal Barcellona al Liverpool. Non sono state le prime e non saranno neanche le ultime operazioni a molti zeri impraticabili, persino a parole, per il campionato italiano.
Il divieto di trasloco in Serie A riguarderà anche i prossimi nomi in rampa di lancio per un giro in primissima classe sulle montagne russe del mercato: Angel Di Maria, promesso al Psg per 60 milioni e in paziente attesa del semaforo verde dal fair play finanziario, Edinson Cavani, messo all’asta per 75 e adocchiato dal Manchester United, Radamel Falcao, valutato più o meno altrettanto dal Monaco e inseguito dal Real, e il difensore Eliaquim Mangala, già impacchettato per 40 dal Porto al Manchester City.
La verità, in fondo, è che i club che possono permetterselo vivono in un esclusivo universo parallelo completamente autosufficiente: comprano, vendono e scambiano giocatori, e quindi anche moneta, quasi esclusivamente tra di loro.
Alle società italiane, impossibilitate a far parte di questo club esclusivo, non resta che osservare i fasti degli altri e sbattere il muso ogni volta che si avventurano a catturare qualche grossa preda in uscita, ma non a prezzi da svendita totale, dalle superpotenze.
Lo dimostrano, dopo il falso allarme positivo di un anno fa con gli sbarchi in rapida successione di Tevez, Mario Gomez e Higuain, i finali delle trattative estive riguardanti ad esempio Alexis Sanchez, sognato dalla Juve ma approdato all’Arsenal per 42 milioni e spiccioli, e Mario Mandzukic, in cima alla lista della spesa del Milan e terminato nel carrello dell’Atletico Madrid per 22.
I frequentatori dei cieli della serie A devono accontentarsi di scegliere rotte alternative, spesso interne e con il rischio di sbranarsi a vicenda come è successo a Roma e Juve per Iturbe, aspettare i low cost dell’ultimo minuto e imbarcare passeggeri di assoluto rispetto ma non più di primo pelo (leggasi Ashley Cole, Vidic, Evra e Alex). Così è la vita del mercato, sperando che prima o poi rispuntino i soldi per abolire la no-fly zone sull’Italia.
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