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Mario Sconcerti nel suo ricordo di Mura usa la stessa sottile perfidia che usò Scalfari con Pansa. Si vede che cordialmente si detestavano. Alla fine comunque sempre meglio di quelli che "un giorno Mura mi telefonò e disse che ero il miglior giovane giornalista italiano"
— paolo madron (@paolomadron) March 22, 2020
Mario Sconcerti per il Corriere della Sera
Venerdì stava meglio. Pensava quasi di scrivere i «Cattivi pensieri» come ogni domenica. Gli avevano riguardato i polmoni, c' era acqua ma non tumori. Poi la mattina, mentre Emanuela (Audisio) stava portandogli i giornali all' ospedale di Senigallia, si è voltato verso Paola e gli ha fatto vedere la sua morte negli occhi. Non è stato il virus a ucciderlo. Non l' ha mai avuto. È stata un' ischemia cardiaca.
Può sembrare strano ma quando eravamo giovani insieme, era la morte che ci immaginavamo per noi, fumatori, bevitori, golosi, impazienti. Solo più breve, mentre lui era da un mese in ospedale. Mi telefonò un pomeriggio di oltre 40 anni fa. Io ero capo dello sport di Repubblica , ma non c' era ancora lo sport. Un giorno sì, un giorno due colonne in cronaca. Però c' erano idee, eravamo diversi. Gianni sentì quella differenza. Era da due mesi all' Occhio di Maurizio Costanzo, grosso stipendio, nessun piacere nel mestiere. Pezzi brevi, giornalismo popolare. Non era il suo mondo.
Concordammo un ingaggio ballerino, senza chiedere a direttori e amministratori, un patto tra me e lui. Lui si dimetteva e prendeva dalla cassa di previdenza l' indennità di disoccupazione, e io integravo con un mio budget di redazione che non esisteva. Ma ero sicuro che appena avesse cominciato a scrivere nessuno ci avrebbe mai cacciato. Tremammo un po', ma andò così.
Gianni aveva una facilità di trovare parole che nemmeno Brera aveva. Abbiamo avuto la fortuna di lavorare tutti e tre insieme. Io guidavo la barca, loro mettevano il vento.
Era meno forte di Brera, che quando voleva ti annientava con una smorfia. Mura era sempre dalla tua parte, davanti al mondo o a una minestra. Aveva parole e sintesi per tutto, le mescolava e ne uscivano filastrocche ma anche poesie purissime, fulminanti. Era possessivo, infantile, bisognoso di cura, di una luce dagli altri che ne illuminasse la diffidenza, forse la solitudine.
È inutile paragonarlo a Brera, era un' altra cosa. Ed è una sciocchezza che il giornalismo sportivo debba permettersi un solo maestro. Brera era fantastico e provocatorio, Mura era quasi snob nel suo bisogno di popolo. Era un raccontatore puro, un ricercatore di dettagli, non un tecnico.
Dava il meglio di sé nel ciclismo e nelle gare tra individui. Dove ci sono le facce. Ancora tanto tempo fa, quando sembrava che stessi per diventare direttore della Gazzetta , ci fermammo a costruire i nostri ruoli futuri come due adolescenti. Io a pensare e lui nel mondo a raccontare, prima firma assoluta. Sembrava vero, poi me ne andai io, impaziente come lui, sempre un po' traditore. Ci siamo persi negli ultimi anni, non eravamo più spontanei. Da quando anch' io scrivevo ci sentivamo un po' avversari.
Veniva da ridere, ma si era spezzato l' equilibrio dei ruoli. Ed eravamo diventati prima uomini e poi anziani. Più che noi, era cambiata la commedia. Gli ho voluto bene, qualcosa di forte, perché sentivo che lui provava la stessa cosa per me. Spero di non averlo deluso troppo. Non era un uomo semplice. Una volta che venne in redazione a Roma e cercava un po' di coccole, non potevo esserci perché stavo chiudendo un supplemento. Nell' attesa lui reagì con le parole, mi mandò questa filastrocca (o poesia?). La conservo ancora, c' era tutto Gianni. Diceva: Sconcerti smorza/ il video e l' audio, / c' è solamente/ per il sor Claudio. / Ora pro Nobis/ è una misura,/ mai vista un' ora / per Gianni Mura.
Come diceva Brera e come scrivevi sempre anche tu, ti sia lieve la terra amico mio.
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