DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Estratto dell'articolo di Roberto Perrone per www.ilfoglio.it
"Sono in cantina”. E dove, se no? Alberto Malesani, 67 anni il 5 giugno, è il Cincinnato del pallone. Allenatore pirotecnico e immaginifico, diretto e poco restio a perdersi in fronzoli, se n’è andato troppo presto da questa valle di lacrime pallonara. Meglio per lui che ora passa le sue giornate sulle colline della Val Squaranto, a nord-est di Verona, dove ha piantato la sua splendida vigna e ha creato la sua bella e moderna (ma con cuore antico) cantina (...)
Nell’autunno del 2020 ha annunciato che ormai la sua avventura con il calcio si è conclusa. “Ci penso poco, al calcio, ormai mi sento più vigneron”. Ogni giorno sale alla sua vigna, trecento metri di altezza.
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"Io ero appieno in un lavoro sinottico: l’allenatore che vede come vede il calciatore. Sono contrario ai droni, al calcio dalla tribuna, ai video dall’alto. Io pensavo all’allenatore che entra dentro l’occhio del calciatore, io pensavo a questo, a un lavoro particolare, nuovo. Vedo più la telecamera nella testa di un giocatore che un drone sulla sua testa. Ero più avanti della match analysis. Facevo un lavoro di questo tipo. Nei corsi si insegna come allenatore i giocatori ma non come allenare un allenatore. Io sentivo la necessità di abbandonare il lavoro sul sistema di gioco e di farne uno tridimensionale sul giocatore”.
Affascinante. Ma Alberto Malesani è sempre stato un tecnico con grandi intuizioni e una sensibilità particolare. Forse troppo sensibile. “Il mio dispiacere è questo, non aver concluso questo progetto. Avevo anche pensato di trasmetterlo ai dilettanti, ai giovani, perché i professionisti sono sordi, pensano di sapere tutto. Ma non era destino. Vabbè, penso di avere ancora tante cose da trasmettere ma ora le trasmetto alle mie vigne”.
Ma non è possibile che dal 2014 non tu non abbia ricevuto neanche una chiamata? “No, certo, qualche panchina me l’hanno offerta, ma l’unica che mi interessava veramente era quella di una Nazionale. Ma non è arrivata, forse non avevo gli agganci giusti...Coverciano dovrebbe essere una fucina di allenatori con allenatori di una certa età a insegnare. I maestri non sono solo quelli come Guardiola o altri stranieri, bisognerebbe ricorrere alla sapienza degli italiani”.
Si approssima l’Europeo 2020 che, causa pandemia, è slittato nel 2021. Dicevi delle partite di cartello, quelle belle che ti appassionano. L’Europeo lo guarderai? “Sì, dopo il disastro del 2018 è arrivato un allenatore che vuole vincere e la sua voglia non è da scambiare per arroganza.
Mi piace Mancini. Perché sa di avere dei talenti e quando è arrivato ha detto: voglio vincere. Ha impresso un cambio di passo nella mentalità, ha portato dentro all’ambiente le sue convinzioni ed è riuscito a dare fiducia a un gruppo depresso. Non ha raccontato balle, ha puntato sui giovani, perché la Nazionale è espressione del calcio e italiano e quindi è un’espressione di talenti.
“Tra gli allenatori mi piace da morire Allegri, perché è pratico, intuitivo e magari, inconsciamente, entra in quel lavoro nella testa dei giocatori di cui ti parlavo. Lui crede di più al giocatore che a tanti discorsi. C’è chi lo ha discusso, sostenendo che non è al passo con in tempi. Invece è avanti, cura l’aspetto visivo dei giocatori, non il suo, così esalta le sue qualità rendendolo felice nel ruolo che gli piace. Tutti pensano che sia facile vincere cinque scudetti alla Juve, ti assicuro che non è facile”. Ora è tornato alla Juventus e quindi lo rivedremo in azione. “Bene. Se credesse un un attimo di più a piccoli aspetti didattici sarebbe l’allenatore perfetto. Lo dico con l’esperienza sul campo: ho incontrato tanti tipi di allenatori nella mia carriera e lui era il più difficile da affrontare”.
Tra i giocatori chi apprezzi? “Donnarumma è forte, in mezzo al campo piace molto Verratti. Ah, e Barella naturalmente. Immobile per me è bravissimo”.
Malesani, l’ultimo ad aver vinto l’Europa League, nell’ultima edizione chiamata Coppa Uefa, anno 1999. “Ti ricordi? Tu c’eri. Quanti viaggi insieme, quanti aeroporti. Sai cosa ricordo io? Che partivamo insieme, squadra, dirigenti, tifosi, giornalisti, tranquilli e sereni, senza grande stress. Affrontavamo gli avversari con la consapevolezza dei nostri mezzi”. Mezzi, che, pare, non abbiamo più, infatti l’Europa League non sono non l’abbiamo mai vinta e in finale c’è arrivata solo l’Inter un anno fa.
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