DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Manuela Croci per Sette – Corriere della Sera
«Posso dirlo? Al telefono cazzeggiavamo. La parola giusta è questa». La voce è quella di Roberto Mancini, 55 anni, bandiera (quando ancora esistevano le bandiere) della Sampdoria, allenatore vincente di Lazio, Inter, Fiorentina, Manchester City e attuale commissario tecnico della Nazionale italiana di calcio. Con chi “cazzeggiava” il Mancio? La voce che arrivava dal cellulare era quella del suo gemello calcistico Gianluca Vialli che nel 2017 ha scoperto di avere un tumore.
«Siamo sempre stati legati da una forte amicizia. Abbiamo parlato della malattia diverse volte, subito all’inizio. Poi è arrivato un momento in cui, quando ci sentivamo al telefono, anche nei momenti più complicati, cercavamo quasi di sdrammatizzare, di… “cazzeggiare”, appunto. La nostra amicizia mi imponeva questo, sentivo di avere il compito non solo di stargli vicino e ma di dargli un po’ di sollievo. Ora perfortuna sta meglio, sia fisicamente sia come umore. L’impegno con la Nazionale gli farà bene».
Avete ricostituito la coppia d’oro di fine Anni 80.
«L’idea di scegliere Luca come capo delegazione degli Azzurri è stata del presidente Gravina. Quando me ne ha parlato, non potevo che esserne felice. Il rapporto che c’è tra noi, ma in realtà tra tutti quelli che hanno vinto con la Samp del 1990- 1991, è molto solido. Crescere insieme, anche se non ti vedi spesso, è una cosa che ti lega per sempre».
roberto mancini e vito cozzoli foto mezzelani gmt17
Sono passati quasi trent’anni da quando i blucerchiati, spinti dai gemelli del gol Vialli&Mancini, hanno conquistato il loro primo (e unico) scudetto di Serie A.
Cosa aveva quella squadra di speciale?
«Il presidente Mantovani. È stato lui l’artefice di tutto. Ha costruito una squadra comprando giovani talenti italiani che sono diventati grandi migliorando insieme, giorno dopo giorno. Ha creato un gruppo straordinario sapendo aspettare, lasciandoci il tempo di maturare, dandoci sempre fiducia. L’unico rammarico che ancora oggi mi porto dentro è il fatto di non aver stretto tra le mani la Coppa dei Campioni».
Gianluca Vialli non è l’unica persona con cui ha condiviso campi e spogliatoi che sta affrontando un grave problema di salute. Lo scorso settembre Mihajlovic ha annunciato di avere la leucemia. «Io e Sinisa abbiamo giocato insieme alla Samp, alla Lazio. Sono stato il suo mister alla Lazio e all’Inter, poi lui è stato il mio secondo quando allenavo i nerazzurri. L’ho visto di recente, sta meglio. Certo il percorso è lungo e faticoso».
Cosa le è rimasto della forza che Vialli e Mihajlovic hanno dimostrato nell’affrontare la malattia?
«Che Luca e Sinisa fossero forti l’ho sempre saputo, li conosco troppo bene. Mi hanno insegnato che bisogna godersi la vita, essere persone positive perché tutto può cambiare dalla sera alla mattina, com’è successo a loro. Sono insegnamenti che dobbiamo cogliere e mettere in pratica in ogni momento: la vita è troppo breve per arrabbiarsi o essere cattivi con sé stessi e gli altri».
A proposito di Sinisa e del Bologna: è vero che una volta si è perso allo stadio Dall’Ara?
«Sì. Ero un bambino. Tifavo per la Juventus e mio padre mi portava spesso a vedere le partite. Una volta alla fine di Bologna-Juve, era il ’72- ’73, al momento di uscire mi sono perso… dopo un primo momento di smarrimento, mi sono fatto coraggio e ho cercato mio padre. Sono ancora orgoglioso di non essermi fatto prendere dal panico».
Continuiamo a parlare di bambini. Sul suo profilo Whatsapp ci sono tre faccine piccole.
«Sono i miei figli. Vorrei averli ancora così, congelare il tempo».
Quanti anni hanno adesso?
«Filippo30,Andrea28,Camilla23».
I due ragazzi hanno giocato a calcio, senza seguire fino in fondo le orme del papà. Le spiace?
«Più che altro mi avrebbe fatto piacere per loro perché giocare a calcio ti dà l’opportunità di divertirti e fare come professione ciò che ti diverte credo sia la cosa più bella».
Mi correggo, la mia domanda non era completa: il successo delle Azzurre guidate da Milena Bartolini mi suggerisce di chiederle se anche sua figlia ha tentato la carriera da calciatrice.
«No, Camilla non ha mai giocato. Segue solo il papà».
Come giudica l’esplosione del nostro calcio femminile?
«Mi fa piacere che le Azzurre siano migliorate così tanto. Hanno fatto un grande Mondiale andando oltre le aspettative. Credo che cresceranno ancora, il campionato è molto competitivo, sarà uno stimolo».
Tornando a Camilla, la vediamo in queste pagine piccola sulle sue spalle e la ricordiamo all’Ethiad Stadium quando ha vinto la Premier da allenatore del Manchester City insieme a papà Aldo, mamma Marianna e sua sorella Stefania.
«La famiglia è fondamentale».
Cosa le viene in mente ripensando agli ultimi minuti di City-QPR? Una vittoria soffertissima.
«Ho un bellissimo ricordo, vincere la Premier significa conquistare uno dei campionati più importanti del mondo. Quel City l'avevamo costruito con attenzione, ha vinto prima del previsto».
L'attuale allenatore Pep Guardiola ancora la ringrazia. È vero che la mattina era stato a messa?
«La domenica vado sempre. In città c’era un prete che arrivava dal Vaticano. Lì non sono tanti, una fortuna».
Che rapporto ha con la fede?
«Sono credente, cattolico. Frequento la messa con costanza come tutte le persone che hanno fede».
È andato a Medjugorje: che esperienza è stata?
«Molto intensa. Ci sono stato più volte. Ho conosciuto i volontari, ho parlato con loro. Sono stati giorni emotivamente molto intensi e sereni».
Dove ha cominciato a giocare?
«In oratorio. Era attaccato a casa: mangiavo e correvo lì».
Quanti anni aveva?
«Cinque, sei. Praticamente rincorro un pallone da sempre».
Per anni gli oratori sono stati il primo contatto con il mondo del calcio, palestre per aspiranti campioni. È ancora così o adesso bisogna per forza transitare in una scuola calcio per sognare di diventare professionisti?
«Le scuole calcio oggi sono un’opportunità in più perché hanno persone con tanta passione e competenza che seguono e fanno crescere i ragazzi. Ai miei tempi questa possibilità non c’era. Giocavo all’oratorio perché lì c’era una squadra con un settore giovanile che arrivava fino alla seconda categoria. Sono rimasto a Jesi fino a 13 anni e mezzo, poi sono andato al Bologna. Quello che è cambiato veramente però è che una volta le squadre professionistiche usavano girare l’Italia per fare provini, scegliendo i giocatori migliori di ogni provincia».
Oggi la selezione viene demandata principalmente alle scuole calcio e i ragazzi arrivano in squadre di primo piano con qualche anno in più sulle spalle. La sua generazione ha iniziato prima.
«Io ero giovanissimo, ho esordito in Serie A a 16 anni».
È un problema per la Nazionale?
«In un certo senso, sì. Il problema maggiore è che oggi nella nostra Serie A i giocatori italiani non sono molti, decisamente troppo pochi rispetto a una volta e questo incide anche sul mio lavoro di ct».
Eccoci al calcio di oggi. Lazio-Inter, lei le conosce bene entrambe: chi è la vera anti-Juve?
«Adesso si è creato un po’ di caos, con tutte queste partite rinviate. Bisogna vedere quando si recupereranno tutti gli incontri. Per il momento credo sia una lotta a tre. Mancano 12-13 giornate alla fine, è presto per dire chi vincerà».
italia armenia mancini immobile
Da allenatore con Lazio, Inter e Fiorentina ha conquistato la Coppa Italia. Lo scorso 28 gennaio era a San Siro per i quarti tra Milan e Torino e in quell’occasione c’è stato l’omaggio a Kobe Bryant, grande tifoso rossonero morto tragicamente due giorni prima. Esiste nel calcio italiano un Kobe Bryant? Un giocatore trasversale in grado di appassionare tutti?
«Bryant è stato uno dei giocatori più forti, ha fatto la storia del basket. Aveva tifosi non solo tra i Lakers, ma in tutto il mondo. Con l’Italia poi c’era un rapporto speciale, il fatto che parlasse la nostra lingua e ricordava con affetto il tempo trascorso nel nostro Paese ha reso ancora più forte il legame e, di conseguenza, l’eco della sua morte. In Italia non so, oggi è difficile trovare un calciatore così carismatico e trasversale. I giocatori italiani sono pochi al momento, speriamo di trovarne uno».
Magari per l’Europeo. Un Paolo Rossi, un Totò Schillaci… uno che ci faccia urlare a squarciagola diventando una bandiera. A proposito di campioni, c’è qualcuno che le sarebbe piaciuto allenare ma non c’è stata l’occasione?
«Ho allenato così tanti calciatori bravi che non ho rimpianti».
Due settimane fa, Marco van Basten proprio sulle pagine di 7 diceva che tra Cristiano Ronaldo e Messi non ha dubbi, il migliore è l’argentino: cosa ne pensa?
«Sono i due fuoriclasse assoluti di questi anni. Chi è più bravo è soggettivo. Certo, Messi è un giocatore nato, come Maradona o Pelé, non aveva bisogno di molto per migliorarsi. Cristiano Ronaldo invece ha dovuto lavorare per diventare quello che è, per essere uno dei più forti e di questo gli va dato merito».
Chiudiamo con la Nazionale che nel 2018 era sprofondata al 21° posto nel ranking Fifa. Un anno dopo, grazie alla cura Mancini, l’Italia è risalita al 13° posto portando a casa un bottino di dieci vittorie su dieci partite. Com’è avvenuta questa svolta?
«Il segreto è aver trovato ragazzi giovani che volevano costruire qualcosa di speciale riportando la Nazionale al posto che le spetta». Il prossimo impegno sul campo dovrebbe essere l’amichevole del 27 marzo a Wembley. «Niente condizionale: si gioca, si gioca. Voglio essere ottimista».
Affronterete l’Inghilterra che ha chiuso l’ultimo Mondiale al quarto posto: che partita sarà?
«Una partita dura. Così come difficile sarà anche la successiva contro la Germania, entrambe le volte fuori casa. È stata una scelta, volevamo incontri pieni di insidie perché le risposte che hai dopo 90 minuti complicati sono molto utili in preparazione di un appuntamento importante come l’Europeo».
Qual è il ct che più l’ha ispirata?
«L’Italia ha sempre avuto grandi ct, anche quando non sono riusciti a vincere. Allenare la Nazionale non è semplice, basta sbagliare una partita e devi aspettare due anni per tornare sul palco internazionale. La squadra del 1982 di Bearzot è quella per cui ho fatto un tifo sfrenato, ero giovane. Ma non posso dimenticare Sacchi, che ha portato qualcosa di nuovo, e Lippi che è riuscito a rimettere insieme tantissimi giocatori bravi e a farne una squadra».
A proposito di Bearzot: una volta l’ha rimandata a casa?
«E senza convocarmi per un po’. Mi ero allontanato dal ritiro, eravamo ragazzi e lui sentiva di essere responsabile nei nostri confronti».
Allora possiamo dire che anche lei è stato un po’ “tremendo” da giovane, quindi anche Balotelli può sperare in un ritorno... Sorride.
«Dipende solo da Mario e questo vale per lui come per tutti gli altri giocatori. Mancano quattro mesi all’Europeo. Diciamo che deve fare un po’ di più di quello che ha fatto fino ad oggi, questo è certo».
vialli gravina mancinisilvia fortini roberto mancini foto di baccomalagò e mancini foto mezzelani gmtmalagò e mancini foto mezzelani gmtroberto mancini foto mezzelani gmtmancini leottaroberto mancini foto mezzelani gmtmancini leottaSCONCERTI MANCINIroberto mancini foto di baccoroberto mancini foto di baccomancini italia grecia mancini
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