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MCLAREN, UNA STORIA DI STOP AND GO – UN LIBRO RACCONTA L’EPOPEA DELLE AUTO COLOR PAPAYA E DEL SUO FONDATORE, BRUCE MCLAREN: DA BAMBINO FU COSTRETTO ALL’IMMOBILITÀ PER UNA RARA MALATTIA DELL’ANCA. SI APPASSIONÒ AI MOTORI MENTRE ERA IN OSPEDALE, DIVENNE PILOTA DI FORMULA 1 E MORÌ A 33 ANNI, IN UNO SCHIANTO IN PISTA – LA SUA FRASE PREMONITRICE: “LA VITA NON SI MISURA IN ANNI, MA IN CIÒ CHE RAGGIUNGI” – AVREBBE VOLUTO IL COLORE ROSSO PER LE SUE VETTURE, MA SCELSE L’ARANCIONE/GIALLO PER NON CONFONDERSI CON LE FERRARI – DOPO UN PERIODO BUIO, OGGI LA MCLAREN È TORNATA A VINCERE IN F1 CON PIASTRI E NORRIS – VIDEO
Estratto dell’articolo di Maurizio Crosetti per “il venerdì di Repubblica”
C’è una leggenda color papaya che da sessant’anni riempie l’immaginario sportivo di tutto il mondo. Non è necessario essere dei patiti di pistoni e carburatori per riconoscere al primo sguardo una McLaren – tanto più che i bolidi nati dalla fantasia di Bruce McLaren quando l’uomo non era ancora andato sulla Luna sono tornati i dominatori della Formula Uno.
Oscar Piastri e Lando Norris, giovani e formidabili driver, sono gli eredi di fuoriclasse come il brasiliano Emerson Fittipaldi, con quei basettoni pop, o come l’irresistibile James Hunt, il grande antagonista di Niki Lauda, senza dimenticare lo stesso Niki e naturalmente Senna e Prost, fratelli coltelli nella più clamorosa rivalità che la storia del volante ricordi. E poi, un giovanissimo Gilles Villeneuve.
Arancia meccanica - La favola della McLaren di Mario Donnini
Tutto questo e molto altro viene raccontato in Arancia meccanica. La favola della McLaren (Minerva edizioni) di Mario Donnini, romanzo sportivo che parte dal capostipite Bruce, colui che disse, forse presentendo il proprio destino: «La vita non si misura in anni, ma in ciò che raggiungi».
Lui, di anni ne aveva appena 33 quando morì nella sua McLaren in una sessione di prove a Goodwood, il 2 giugno 1970: distacco del cofano e schianto fatale. Ed è proprio da Bruce che occorre partire.
[…] Quando Bruce Leslie McLaren, nato nella remota Nuova Zelanda, ad Auckland, aveva 9 anni, gli diagnosticarono una rara anomalia dell’anca, nota come “malattia di Legg-Calvé-Perthes”. Per i tempi, significava mesi di ospedale e terapie pesantissime.
Il ragazzino dovette accettare ingessature elastiche e imbracature, che alla fine lo restituirono alla famiglia e alla vita con la gamba sinistra più corta dell’altra, zoppo ma sensibilissimo ed empatico: la sofferenza lo aveva plasmato verso una maggiore attenzione agli altri e a sé stesso.
Nei giorni a letto, pressoché immobile, Bruce si faceva portare dal padre Les (ma tutti lo chiamavano Pop), ingegnere e proprietario di un’officina, cataloghi di auto sportive. Fu così che il giovane McLaren decise che sarebbe diventato pilota […]
Bruce McLaren, da adolescente, era capace di montare un motore da solo, pezzo dopo pezzo. Amava la velocità, anche di pensiero: cominciò a gareggiare in Formula 2 per la Cooper, dove metteva a punto le automobili da corsa, inventava e assemblava: forse, aveva già deciso di diventare costruttore. E così avvenne.
Nel 1964 nasce la M1A, cioè la prima McLaren della storia, motore Oldsmobile. È la scintilla per una serie di mutazioni e metamorfosi, quelle che Enzo Ferrari chiamava le attitudini degli assemblatori. Proprio la Ferrari, nel tempo, sarebbe diventata l’altra metà del cielo della McLaren, poli opposti in uno di quei duelli infiniti che danno più sostanza all’epica sportiva, da Coppi contro Bartali ad Alì contro Foreman.
Prima di morire, Bruce fece in tempo a correre e vincere (a Spa, nel 1968) anche in Formula 1, dove prese forma quel bizzarro colore che sfrecciava come una pennellata, quell’arancione/giallo a cui Bruce preferiva il rosso, che però si confondeva con le Ferrari e allora meglio di no.
Un colore talmente strano, quello della futura “Orange Army”, da stuzzicare strane fantasie. Si disse che i bolidi erano color papaya per essere visti meglio, e subito, negli specchietti retrovisori dei doppiati, ma la vera ragione era più prosaica: la tinta “bucava il video” dei primi televisori a colori in America. Anche se poi non tutto segue un disegno preciso: la prima McLaren era “British Green”, perché per verniciarla non si era trovato di meglio che qualche latta di vernice verde da cancellate.
Grande e ondivaga storia, il sogno di Bruce realizzato da altri. Il primo mondiale di Formula 1 lo vince Fittipaldi nel ’74, e due anni dopo James Hunt a Suzuka, quando Lauda preferisce fermarsi, lui che aveva rischiato di morire in un rogo in pista poche settimane prima, e dal dolore non riesce neppure ad infilarsi il casco. La prima, mitica auto iridata si chiama M23 e farà epoca, non certo l’unica rivoluzione proposta dalle McLaren nella storia: si pensi al primo bolide con telaio in carbonio, sotto una scocca color papaya.
Tante ne ha viste, l’Arancia Meccanica dei circuiti, anche grazie all’arrivo nel 1980 di un drago come Ron Dennis al comando di un’azienda che, da piccola e prodigiosa factory, oggi appartiene a un fondo sovrano del Bahrein, scuderia condotta da un altro visionario come l’americano Zac Brown e con un italiano, Andrea Stella, come team principal.
Nel libro di Donnini si scopre quanti siano stati, e siano, i tecnici e gli specialisti italiani che in oltre mezzo secolo hanno reso possibile il miracolo, sfidando più volte l’italianissima Ferrari.
Quella della McLaren è anche una storia di cadute e rinascite, dalle 170 gare senza una vittoria (2013-2021) fino alla riconquista dell’Olimpo con le “papaye” condotte da Norris e Piastri: titolo costruttori nel 2024, primo e secondo posto nel mondiale piloti in corso.
Un altro lungo sogno realizzato, forse l’estrema visione di Bruce McLaren, che amava a tal punto la propria vettura da non volerla sporcare con le decalcomanie degli sponsor: solo un suo amico pittore professionista, Michael Turner, poteva aggiungere colore alla scocca, ma usando un pennello.
LANDO NORRIS VINCE IL GP AUSTRALIA
BRUCE MCLAREN
norris piastri gp austria
oscar piastri
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