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Alessandro Pasini per il “Corriere della Sera”
E se il vero affare fosse venderlo? Pensiamoci. Siamo appena stati nominati direttore sportivo del Barcellona — Andoni Zubizarreta è stato licenziato, il posto è vacante, spedire il curriculum non costa niente — e abbiamo una visione: un container di milioni da reinvestire; lo sfruttamento al momento giusto di un patrimonio tecnico e economico che, è fatale, prima o poi comincerà a svalutarsi; la valorizzazione della coppia Neymar-Suarez e la transizione a un nuovo ciclo prima che questo si chiuda male. Dunque, vendiamo Lionel Messi al miglior offerente. Passeremmo per furbi per folli?
La risposta non è così scontata. Henk Ten Cate, per esempio, vice di Frank Rijkaard quando allenava il Barcellona, ha raccontato al De Telegraaf : «I problemi fra Messi e il Barça non nascono ora: se Messi rimane è perché l’ha promesso a Tito Vilanova poco prima che l’allenatore morisse». Un patto privato, un impegno con se stesso. Ma il feeling di una volta con il club non c’è più. E allora, conclude Ten Cate, «un addio di Messi sarebbe un bene sia per lui sia per il Barça».
L’argomentazione è interessante. Certo, un Messi in calo — come effettivamente è dalla stagione scorsa — è comunque sempre un fenomeno tra i due migliori giocatori del mondo e 27 anni non sono ancora l’età per prendere la parabola discendente.
Resta il fatto che — come ha illustrato proprio ieri un report del Centro internazionale di studi sportivi dell’Università di Neuchatel, in Svizzera — Leo è il calciatore che vale di più sul mercato mondiale, addirittura il 65 per cento in più di Cristiano Ronaldo: 220 milioni contro 133.
Dunque si torna all’origine: e se fosse un affare venderlo proprio adesso che è ancora al suo meglio? Al momento, club e giocatore non sembrano pensarci. Un conto è una lite, un conto è separarsi, e ieri la Pulce è tornato regolarmente in campo nel match di Coppa del Re con l’Elche.
neymar e la fidanzata gabriella lenzi
Poi c’è la sanzione Fifa che blocca il mercato blaugrana per due sessioni e impedisce il reinvestimento immediato dell’incasso: rinuncereste al più forte del mondo senza poter ricostruire subito la squadra? Inoltre, da dirigente del club, dovremmo sapere che l’investimento per un potenziale acquirente sarebbe mostruoso: 250 milioni di clausola rescissoria, almeno altri 200 per un ingaggio, minimo quinquennale, di 20 milioni netti, cioè 40 lordi, annui. Fa quasi mezzo miliardo. Come uno stadio. Ma uno stadio grande.
Chi potrebbe permetterselo? Tolto per ovvi motivi il Real (Figo passò da Barcellona a Madrid ma è diverso) e considerando che Paris St. Germain e Manchester City stanno sotto lo scacco del fair-play finanziario, restano Chelsea, Bayern Monaco e Manchester United. Con i tedeschi Leo tornerebbe da Guardiola, a Old Trafford giocherebbe dove ha giocato Cristiano Ronaldo. Affascinante. Ma, a sentire certe fonti inglesi, è invece il club di Roman Abramovich ad avere pronta un’offerta da 250 milioni per portare Messi da Mourinho.
A questo punto però c’è un’ultima considerazione da fare. Siamo sicuri che Messi in un altro contesto ambientale e tattico funzionerebbe come al Camp Nou, dove ha trascorso tutta la sua vita di calciatore? Forse sì, ma la sua storia nella Nazionale argentina dice che la Pulce non sfonda sempre e comunque dappertutto. Un investimento di 400 milioni partendo da un «forse» assomiglia a un azzardo. Ma comunque, da d.s. del Barcellona, non sarebbe un nostro problema.
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