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DAGOREPORT - BENVENUTI AL GRANDE RITORNO DELLA SINISTRA DI TAFAZZI! NON CI VOLEVA L’ACUME DI…
“OGGI SONO UN RAMBO PIGRO, LONTANO DAI RIFLETTORI MA FELICE” – NANDO DE NAPOLI, DETTO "RAMBO", SI RACCONTA - IL TERREMOTO DELL’IRPINIA (“CERCAVAMO I MORTI SOTTO LE MACERIE”, LO SCUDETTO CON MARADONA, LA LITE CON OTTAVIO BIANCHI (“IL COMUNICATO CONTRO DI LUI RESTA UNA PAGINA NERA DELLA MIA CARRIERA"), LA FIDUCIA DI BERLUSCONI E LA CAMERA DIVISA CON VIALLI, LA MALEDETTA CARTILAGINE DEL GINOCCHIO – "L’ADDIO AL MONDO DEL CALCIO? “COLPA MIA: PER RESTARE NEL MONDO DEL PALLONE TI DEVI DARE DA FARE. IO SONO…”
Marco Cherubini per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Sono stato fortunato. Ma la mia carriera poteva andare meglio se la cartilagine del ginocchio destro non si fosse consumata. Tanti ricordi, un pizzico di nostalgia, ma quando le giornate sono un po’ opache, quelle quando ti prende — come dicono a Napoli — “l’apucundria” , faccio presto: prendo in braccio mia nipote Matilde, 3 anni il giorno di San Valentino e torna il sorriso. Anzi: la felicità».
Nando De Napoli 61 anni, è sempre lo stesso. Da Chiusano San Domenico, provincia di Avellino, non ha perso capelli e voglia di guardare sempre il bicchiere mezzo pieno.
Ha attraversato 15 anni di calcio italiano incrociando i migliori calciatori del mondo e alcuni dei tecnici più bravi.
Poi è tornato nella casa dov’è nato...
«Sì, qui sono nato e qui sto bene. Sono cresciuto in fretta: a 16 anni giocavo a pallone, ero felice. Poi una sera di novembre dell’80 è cambiato tutto. Il terremoto, la paura, per giorni isolati, la disperazione e noi ragazzi che andavamo a cercare i morti sotto le macerie insieme ai pochi soccorritori. Immagini che ti rimangono dentro. Capisci in un attimo quali sono le cose che contano nella vita».
Come la gioia di giocare per la squadra della sua città.
«La maglia dell’Avellino, la serie A. Mi sembrava un sogno. Ero andato un anno a Rimini diciassettenne con Sacchi che spiegava il calcio del futuro. Tornato all’Avellino, dopo Veneranda che mi vedeva poco, ecco Ottavio Bianchi. Scatta la scintilla: titolare fisso e io che do tutto. Al Partenio il campo era sempre bagnato, anche nei giorni di sole. Correvo e lottavo, capelli lunghi e una maschera di fango sempre. A marcare Platini e raccogliere i complimenti. Diventai Rambo, il soprannome della Curva Sud. E arrivò anche la Nazionale. L’Under 21, un Europeo perso ai rigori.
Poi le storie più grandi. Due mondiali, Bearzot, Vicini, la semifinale di Italia 90 con l’amico Diego persa al San Paolo, la camera divisa con Vialli, e poi Baggio, Ancelotti. Ho cantato l’inno 70 volte. Sempre a squarciagola, sempre con orgoglio e felicità».
Racconti che sembrano la storia del calcio degli anni ’80.
«È così: sono stato fortunato. Mi voleva la Juve, ma Bianchi, andato al Napoli mi volle con lui. Mezzora da casa e gli allenamenti con Maradona. Era toccare il cielo con un dito. Ho vinto due scudetti, la Coppa Italia, la Coppa Uefa eppure, credetemi, gli allenamenti a Soccavo con Diego che faceva il fenomeno sono i ricordi più belli di quegli anni. “El Pelusa” era buono e generoso. Umile e allegro. Un bambino in un negozio di giocattoli. Quando vivi storie così devi solo dire grazie alla vita che ti ha dato tanto».
In mezzo qualche scivolone, qualche amarezza.
«Sì, lo scudetto perso col Milan, firmai il comunicato contro Ottavio Bianchi per difenderci dalle accuse dei tifosi per un titolo buttato via. Eravamo una squadra fantastica che avrebbe potuto vincere molto di più. Spesso ci ripenso. Una pagina nera della mia carriera, ancora oggi mi fa star male. E con Bianchi i rapporti, purtroppo, non sono stati più gli stessi».
maradona fernando nando de napoli
(...)
Per lei, però, arriva il Milan di Berlusconi.
«Tanti soldi, tanta stima, tanta fiducia. Che non ho potuto ripagare. Non c’era più la cartilagine del ginocchio destro. Io in palestra con Van Basten: due che stavano abbandonando il calcio per colpa della salute. C’ho provato, ma sentivo troppo dolore, anche a Cagliari col Trap e a Reggio Emilia col grande Ancelotti. Lo sapevamo tutti che sarebbe diventato uno degli allenatori più bravi di sempre».
Finisce l’avventura sul campo a soli 32 anni e mezzo. E non ne è cominciata un’altra da allenatore o dirigente.
«Colpa mia, questa è la verità: per restare nel mondo del pallone da dirigente, da allenatore, ti devi dare da fare, conoscere, incontrare, studiare. Io sono timido. Forse anche un po’ pigro, timoroso. E allora dopo gli anni a Reggio Emilia dove avevo provato con un’enoteca tutta mia, ho deciso di tornare a casa. Ci sono mia madre, la mia famiglia, mia nipote».
(...)
Lei è felice?
«Sì lo sono. Un Rambo pigro, un po’ timido, lontano dai riflettori, ma felice. Specie con mia nipote Matilde in braccio».
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