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Franco Vanni per Affari &Finanza - la Repubblica
Trasmettere le partite di calcio su Facebook, anziché venderle a broadcaster satellitari o in streaming. E un domani, magari, fare a meno anche delle piattaforme social network, consentendo ai tifosi di seguire le gare direttamente sui canali del club. Pagando, ovviamente. È la tentazione delle società calcistiche italiane sempre più in crisi, al punto da aver chiesto al governo di potere rateizzare i pagamenti delle imposte congelate nel periodo più duro della pandemia.
Il primo esperimento, sul modello di quanto fatto in Spagna dal Real Madrid, lo ha fatto il Napoli, che lo scorso luglio ha chiesto 10 euro ai tifosi per assistere in diretta su Facebook all'amichevole con l'Adana, squadra turca. Dopo le proteste dei sostenitori di Spalletti e dei suoi, il 6 agosto per la gara con l'Espanyol la tariffa è stata abbassata a 3 euro, ma le lamentele non si sono placate. Intanto però, il tabù è stato rotto. E a conti fatti l'esperimento ha funzionato. Alla prima delle due amichevoli hanno assistito in tutto circa 4mila tifosi, garantendo un incasso che né Sky né Dazn avrebbero garantito per quella partita.
Oggi la vendita di singole partite agli spettatori tramite canali digitali è possibile solo per le amichevoli.
I diritti tv del campionato sono gestiti dalla Serie A, in modo collettivo. Per il triennio 2021-24 Dazn può trasmettere tutte le gare in esclusiva, mentre Sky ha i diritti per tre partite a giornata. Le tv costituiscono la maggior fonte di entrata per i club italiani. Senza tener conto delle coppe, nazionali ed europee, per la stagione 2021/22 le società si sono spartite 940 milioni, in base a criteri che tengono conto del risultato sportivo, recente e storico, e della capacità di attrarre pubblico, allo stadio e in tv. La società che ha incassato di più è stata il Milan, con 72,5 milioni, mentre la Salernitana chiude la classifica con 26,9. Cifre enormi rispetto a quanto un club può incassare vendendo le amichevoli direttamente ai propri tifosi.
La strada però è segnata, e la disintermediazione è un'opportunità troppo ghiotta per non provare a sfruttarla.
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Dopo il Napoli, anche l'Inter ha fatto un test di trasmissione diretta delle gare con un meccanismo di microcredito. Nella fase clou del Mondiale in Qatar, il 5 dicembre, il club nerazzurro ha chiesto ai propri tifosi di pagare con un clic 2,49 euro per assistere su Facebook alla diretta dell'amichevole contro il Gzira United, squadra di Malta. Risultato: 1.100 utenti collegati e almeno altrettante proteste sui social network. Se gli appassionati dello sport di combattimento sono abituati a pagare per un singolo incontro, e gli appassionati di Nba pagano anche per guardare l'ultimo quarto di una partita, per gli amanti del calcio la formula riporta agli albori della pay per view. E ovviamente non piace a tutti.
Eppure l'Inter ha deciso di replicare l'esperienza, con risultati in crescendo: più di 2mila spettatori paganti su Facebook il 7 dicembre contro il Salisburgo e oltre 3mila dieci giorni dopo con il Betis. In entrambi i casi il costo per la visione della singola partita era di 3,49 euro. Luca Danovaro, chief revenue officer dell'Inter, spiega che il senso dell'esperimento è stato «dare visibilità al marchio Inter e rivolgersi a un pubblico più ampio possibile. Sono oltre 30 milioni i tifosi nerazzurri che seguono il profilo ufficiale del Club su Facebook. Sono più di 57 milioni i fan nerazzurri, oltre 8 milioni aggiunti solo nell'ultima stagione, che possono seguire il club su 24 differenti canali ». Risultati raggiunti grazie al grande lavoro della media house interista, fra video e attività sui social.
Per i club, l'accordo con Facebook è doppiamente conveniente.
Meta concede alle società il 100 per cento dell'incasso, da cui vanno sottratte solo piccole quote trattenute da chi gestisce gli app store (ad esempio Apple) attraverso cui avviene l'acquisto dell'evento sportivo, solo per i dispositivi mobile. In secondo luogo, i club calcistici possono creare database di clienti affezionati, digitalmente alfabetizzati e pronti a spendere. Per questo, lo strumento sembra poter avere un futuro.
Come trarre il massimo vantaggio dalla vendita dei diritti tv è un tema aperto. L'esempio, per quanto riguarda i campionati, è la Premier League inglese, che in dieci anni ha incrementato di 2,766 miliardi i ricavi a stagione, raggiungendo quota 4,12, grazie alla popolarità nel mondo.
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La Serie A, considerando anche le quote versate dai club come mutualità al resto del sistema calcio, in dieci anni ha visto crescere di 398 milioni i propri ricavi lordi annui, arrivando a quota 1,12 miliardi. Il modello di business è simile: ogni tot stagioni - in Italia si procede per trienni - i diritti vengono assegnati ai broadcaster in esclusiva o in co-esclusiva. Ma siamo sicuri che sia il modello più efficiente? La Serie B nell'ultimo bando ha deciso di non concedere esclusive, consentendo di trasmettere le partite a chiunque pagasse una cifra congrua.
Risultato: Sky, Dazn ed Elbiz possono trasmettere tutte le partite, in condominio. Una soluzione che in una sola stagione ha consentito un incremento degli incassi del 44 percento, fino a quota 49 milioni. Per quanto riguarda la Serie C, i diritti sono andati a Eleven Sports. L'esperimento più interessante è in corso in Serie D, dove le gare possono essere trasmesse in streaming sui profili social dei club, a patto che gli utenti non debbano pagare. Il vantaggio per le società non è immediatamente economico: si crea una base di tifosi-follower e li si spinge ad andare allo stadio, almeno per le gare di cartello.
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