FLASH! - LA GIORNALISTA E CONDUTTRICE DI CANALE5 SIMONA BRANCHETTI, STIMATA PROFESSIONALMENTE DA…
Gaia Piccardi per il Corriere della Sera
Fabio, quante volte?
«Quante volte cosa?».
Quante volte ha frantumato la racchetta per terra?
«Mai abbastanza».
Fabio Fognini da Arma di Taggia, professione tennista, 33 anni, il braccio destro più veloce a ovest del torrente Argentina, non è cattivo. È che lo disegnano così. Sebbene in campo, in quasi vent' anni di carriera da professionista, abbia lasciato più cuori (la sua generosità, soprattutto con la maglia azzurra, è leggendaria) che sfuriate (un paio, però, sono rimaste proverbiali),
ai posteri è passata la narrazione di un giocatore irascibile tanto quanto talentuoso, in grado di strapazzare tre volte in una stagione (2015) quel satanasso di Rafa Nadal e di dare dello zingaro al rivale serbo Krajinovic («Quando perdo la calma la bocca comincia a muoversi da sola, ma poi mi sono scusato»), di battere Andy Murray a Napoli regalando la semifinale di Coppa Davis all' Italia («La partita più bella della mia vita») e di ricoprire di insulti la giudice di sedia a New York, fino a meritarsi la squalifica dall' Open degli Stati Uniti, roba che nemmeno John McEnroe.
Per spiegarci che in circolazione ci sono due Fognini, e che quello fumantino capace l' anno scorso di annettersi il torneo di Montecarlo convive serenamente con quel tenerone del marito di Flavia Pennetta, papà di Federico e Farah, Fabio da martedì manda in libreria una biografia: «Warning, la mia vita tra le righe».
Con la stampa ha sempre avuto un rapporto contraddittorio ma in 225 pagine, dalla nascita all' ospedale di Sanremo («Della mia terra mi porto dietro tutto, incluso l' amore per Fabrizio De Andrè») alla recente operazione alle caviglie che non lo fa partire di certo favorito agli Internazionali d' Italia posticipati dalla pandemia, al via oggi al Foro Italico, riesce a raccontarsi con calma, prendendo fiato tra gli scambi. Ne esce il ritratto di un ligure a volte ruvido però schietto, un pesto che sa di basilico buono e si ripropone solo quando gli scappa la mano ed esagera con l' aglio.
Un libro, Fognini: esigenza o sfizio?
«Né l' uno né l' altro. Ho 33 anni, gioco a tennis da quando ero in terza media, sono padre due volte: mi sembrava il momento giusto. Ho provato a raccontarmi come la gente non mi conosce, a spiegarmi come mai avevo fatto».
E come non la conosciamo, Fabio?
«Non sono diverso dagli altri, né migliore né peggiore. In ognuno ci sono due facce, nel bene e nel male. Certo io ho gli occhi più puntati addosso, per il mestiere che faccio, ma quando appenderò la racchetta al chiodo potrò dire di essere stato Fabio Fognini sotto tutti i punti di vista. Gli errori fanno parte della crescita: non me ne vanto, non ne vado fiero. E quando ho sbagliato ne ho sempre pagate le conseguenze. Mai avuto sconti in vita mia».
Ha sofferto per essere stato incompreso?
«Mi hanno giudicato per la persona che sono in campo. Ma c' è di più. E sono sempre stato me stesso, cosa che molti campioni di fama trasformati in peggio dal successo e dai soldi non possono dire. Sono triste per loro».
Ha voglia di fare qualche nome?
«No».
Maria Sharapova sosteneva che il rivale va odiato e che, di conseguenza, le amicizie nel tennis non sono possibili.
«Il mio migliore amico è Simone Bolelli, tennista come me, un fratellone maggiore.
Siamo cresciuti insieme, in doppio abbiamo vinto un titolo Slam in Australia. Nel tennis, è l' unico. Gli altri amici sono di Arma o di famiglia: Giuseppe, il marito di mia sorella Fulvia, e Maurizio, il marito di mia cugina Fabiana».
Novak Djokovic non è un amico?
«Lo conosco molto bene, lui è uno di quelli che non sono mai cambiati».
Per vincere devi per forza essere egoista?
«Sì ma per un tempo limitato. Mi spiego: quando io gioco contro di te non siamo amici, ma se poi vogliamo andare a bere una birra, io ci sto. Quello che succede in campo, finisce lì.
Ecco perché dopo ogni multa o incidente di percorso sono sempre ripartito».
Ha mai detestato il tennis, come Agassi?
«Al tennis sarò sempre grato: per me è la vita. Certo ci sono stati periodi in cui non si è fatto voler bene. Nel 2019, ad esempio, prima di vincere il Master 1000 di Montecarlo, ero incavolato con il mondo: spaccavo due racchette a allenamento, vedevo tutto nero, ero frustrato. Lì è stata brava Flavia a sopportarmi: una moglie che non avesse fatto la tennista, mi avrebbe piantato. Ma non ho mai pensato di smettere, nemmeno nei momenti più bui».
Ecco, parliamo del buio. Quando cala, con quale intensità, scatenato da cosa?
«Non so neanche io perché mi succedono certe cose. Pure Flavia mi dice che non capisce: è come se in campo a volte Fabio smettesse di esistere e al suo posto arrivasse all' improvviso un altro tizio totalmente fuori controllo. Un nemico che mi porto dentro e che a volte non riesco a trattenere».
L' ha fatta più maturare il matrimonio o la paternità?
«Due momenti diversi, ma connessi. Flavia comprende le mie ombre, senza il suo appoggio non so dove sarei. Federico e Farah mi hanno reso meno menefreghista e più attento ai piccoli dettagli delle cose».
Fognini con un' altra testa avrebbe vinto molto di più di 9 titoli Atp: verità o stereotipo?
«È tutta la vita che me lo sento ripetere, mi sono anche stufato. A me va bene così: sono entrato nei top-10 del ranking restando fedele a me stesso. Diventare come mi vogliono gli altri mi farebbe stare male».
Chi le somiglia di più, Federico o Farah?
«Fede è il mio ritratto: cammina con la pancia in fuori e i piedi a papera! La bimba ha 9 mesi, è presto per dirlo. Maschio e femmina, la famiglia perfetta... Sono un uomo fortunato: nel privato non mi manca proprio nulla».
E nello sport quale riconoscimento le manca, Fabio?
«Vado avanti finché mi sento competitivo. L' operazione alle caviglie l' ho fatta proprio per allungarmi la carriera di qualche anno. Ora, dopo sei mesi che non giocavo a tennis, mi fa male tutto! Non mi vedo da numero 80-90 del mondo a remare nei challenger per risalire la classifica. Sono n.12, vorrei togliermi ancora qualche sfizio: un altro Master 1000, magari Roma, se poi è uno Slam meglio».
Nessun rimpianto di non aver fatto il calciatore, magari dell' Inter, come sognava suo padre?
«Vicino a casa nostra, ad Arma, vivevano i Dellacasa: lui era il massaggiatore ufficiale dell' Inter ed era cliente al ferramenta di mio papà, che è anche un buon amico di Altobelli, tanto che nell' 82 l' aveva invitato a seguire la Nazionale in Spagna per i Mondiali. Tutti i miei idoli di bambino sono calciatori: Materazzi il ribelle, Zamorano il guerriero.
Con mio padre andavamo alla Pinetina a vedere gli allenamenti.
Ma quando a 13 anni mi sono trovato davanti al bivio, non ho esitato: nel tennis sei solo, tuo il merito, tua la colpa. Non ci sono giustificazioni. È così che funziona».
Come si immagina l' ultimo match?
«Davanti alla mia famiglia, con i miei figli che vedono il papà che finisce il suo lavoro».
E poi?
«Se ne parlava con Flavia durante il lockdown, un periodo che ci ha costretti a riflettere. Ad allenare non ci penso proprio. Una scuola tennis con il mio nome non mi interessa. Mi vedo più titolare di una società di scouting, come Francesco Totti nel calcio, con sede a Milano. L' occhio per il talento tennistico ce l' ho. È un' idea che mi intriga».
Alla fine, Fabio, dopo tutti questi anni cosa non abbiamo ancora capito di lei?
«Che, vi piaccia o no, siamo tutti un po' Fognini. Rassegnatevi».
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