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Fabio Monti per ‘Il Corriere della Sera’
Per la Seleçao sarebbe stato meglio giocare questo Mondiale in qualsiasi angolo del mondo piuttosto che a casa propria, con i tifosi che considerano la conquista dell’Hexa, la sesta Coppa del Mondo, come un atto dovuto (e scontato). Pressione popolare e avversari sul campo stanno mettendo in enormi difficoltà il Brasile di Felipe Scolari, incapace di andare oltre lo 0-0 contro il Messico: la qualificazione agli ottavi non è scontata, in attesa di capire oggi che cosa accadrà in Croazia-Camerun; il gioco non c’è; il Messico ha confermato di essere un avversario durissimo per il Brasile, che già aveva perso il titolo olimpico due anni fa a Londra.
Il portiere messicano Guillermo Ochoa, 29 anni, dell’Ajaccio, ha fatto i miracoli, ma questo non basta a giustificare il pareggio senza gol e con poche idee della Seleçao. E in Brasile toccano ferro: questa era la gara 17, giocata il 17 giugno, ma quel che è peggio per loro è ricordare che nel 1950 la nazionale aveva pareggiato la seconda partita (2-2 con la Svizzera).
Meglio il prologo della prima parte di gara, in uno stadio tutto colorato: non soltanto il giallo delle magliette brasiliane, ma sulle tribune anche enormi macchie rossoverdi dei tantissimi tifosi della Tricolor, arrivati fino al Castelao. La gente ha risposto all’appello di Thiago Silva e come un anno fa (meno due giorni, 19 giugno 2013) ha cantato a cappella l’ultima parte dell’inno per spingere la Seleçao, in un’atmosfera di grande suggestione, che ha fatto piangere Neymar.
Il Brasile (Hulk in panchina per l’impalpabile Ramires, poi sostituito da Bernard) ha iniziato male, incapace di trovare il ritmo giusto per fare la partita, in alcuni momenti anche dura, per una serie di falli decisi a conferma dello spirito da battaglia. Squadra lunga, in difficoltà contro la linea difensiva messicana, sempre compatta e avversari che non hanno mai rinunciato ad azioni d’attacco con palla a terra (con Peralta e Giovani Dos Santos) oppure con conclusioni da fuori ben controllate da Julio Cesar.
La situazione sarebbe potuta cambiare se a metà primo tempo Ochoa non avesse compiuto una paratissima sul colpo di testa di Neymar, che agli inglesi della Bbc ha ricordato quella di Banks in Messico nel 1970 su Pelé. Una reattività fuori dal comune.
La mancanza di continuità offensiva ha permesso ai messicani di non andare mai in affanno, potendo riprendere fiato, mentre il Brasile, fra un erroraccio e l’altro in impostazione, ha cercato il vantaggio sfruttando le qualità dei singoli. Il secondo salvataggio di Ochoa è arrivato al 44’ su un tiro di Paulinho, e non si è capito bene se queste difficoltà offensive della Seleçao siano state dettate da uomini che, come con la Croazia, non sono ancora in condizione oppure dalla paura di andare sotto un’altra volta, come nella prima partita di questo Mondiale, in un «vado o non vado», che è stato il tema tattico anche della prima parte di ripresa.
Scolari, dopo l’intervallo, si è rimesso il k-way portafortuna, esibito contro la Croazia, ma la situazione è peggiorata, perché è stato il Messico a fare la partita (tre conclusioni alte di poco nei primi 15’), con i brasiliani scollegati fra i reparti, incerti di fronte alla reattività degli avversari e sulle gambe, negli scatti brevi e nelle percussioni lunghe.
Scolari si è visto costretto a rinunciare a Fred, puntando su Jo, per dare movimento in attacco e subito Neymar ha avuto la palla del vantaggio, ma ha trovato ancora Ochoa. Da qui è partito il forcing verdeoro, però con risultati modesti, a parte una conclusione di testa di Thiago Silva (punizione di Neymar), che ha trovato le mani di Ochoa. Il Messico ha finito all’attacco, con l’ultima prodezza firmata da Julio Cesar su Jimenez. In sintesi: questo Brasile non è ancora (o non è) da titolo mondiale.
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