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Lauretta Colonnelli per il “Corriere della Sera - Roma”
Una veste funeraria di 2.008 tessere di giada cucite con filo d’oro: è il pezzo più spettacolare tra gli oltre cento esposti nella mostra inaugurata ieri a Palazzo Venezia. La veste, lunga 180 centimetri, è composta da camicia, pantaloni, calze, sciarpa, guanti, velo facciale. Apparteneva a un nobile della dinastia Han, che regnò tra il 206 a.C. e il 25 d.C. nella provincia dello Henan, nella grande pianura centrale della Cina.
È riemersa nel 1986, durante gli scavi nel sito sepolcrale del monte Xi. Secondo le dottrine taoiste dell’epoca, la giada aveva il potere di preservare il corpo dal decadimento consentendo la sopravvivenza dell’anima. Da questa credenza derivò l’usanza, durata qualche secolo, di cucire intorno al corpo del defunto un vero e proprio abito di giada alla cui preparazione si dedicavano per anni numerosi artigiani. L’esemplare esposto è uno dei più belli tra i circa quaranta finora rinvenuti.
Si può ammirare fino al 28 febbraio 2016 nella mostra «Tesori della Cina Imperiale. L’età della Rinascita fra gli Han e i Tang (206 a.C. – 907 d.C.)», allestita nel refettorio quattrocentesco di Palazzo Venezia e curata da Tian Kai, direttore del Museo Provinciale dello Henan da cui proviene la collezione. È la terza delle cinque esposizioni previste dall’accordo siglato nel 2010 tra il ministero dei Beni culturali e la State Administration of Cultural Heritage della Repubblica Popolare Cinese.
Racconta, attraverso lacche, terrecotte invetriate, vasi, oggetti d’oro e d’argento, pitture, fotografie e carte geografiche, lo sviluppo di quella civiltà cinese che nasce nel cuore della grande pianura centrale con la dinastia Han intorno al 206 a.C. e diventa con la dinastia Tang, tra il 509 e il 907, l’età dell’oro. In questo periodo la capitale dell’Impero, l’odierna Xi’An, è crocevia di tutti i commerci, riceve gli ambasciatori del mondo ed è popolata da oltre un milione di persone.
È anche il periodo dei «barbari», come i cinesi chiamavano le popolazioni provenienti da altri territori. Questi stranieri con la barba, gli occhi incavati e il naso grande, erano soprattutto mercanti, ma anche portatori di nuove idee, religioni, espressioni artistiche, conoscenze tecniche e scientifiche. I loro traffici sono descritti dal poeta persiano Saadi nel libro «Il giardino»: «Mi preparo per andare a vendere in Cina lo zolfo della Persia e, secondo me, potrò venderlo a un prezzo abbastanza alto. Poi porterò la porcellana cinese in Grecia, la seta greca o veneziana in India, l’acciaio indiano ad Aleppo, gli oggetti in vetro di Aleppo nello Yemen e infine i tessuti a strisce dello Yemen in Persia».
Compare in quest’epoca la porcellana a tre colori: avorio, ruggine, verde rame. Nelle statuette di porcellana scorre la visione di una società aperta e dal clima rilassato, in cui anche la donna gode di maggiori libertà. Si vedono signore che suonano strumenti musicali, vanno a cavallo indossando pantaloni stretti e stivali, viaggiano, tirano con l’arco, partecipano al gioco con la palla e alle lotte dei galli. Schede illustrate spiegano come queste donne si abbigliavano con elaborati abiti di seta, si truccavano applicando sul volto uno strato di cipria e pennellate di fard, disegnavano le sopracciglia con terra nera, e con il rossetto le fossette ai lati della bocca e un fiore in mezzo alla fronte.
Un’altra scheda elenca i diversi modi di pettinarsi con lo chignon alto sulla testa, che poteva assumere varie forme e nomi evocativi: la crocchia del cigno spaventato, della caduta da cavallo, della scopa scherzosa. Il culto degli antenati e la credenza dell’immortalità dell’anima, già molto forti nella Cina antica, sono ora alla base di pratiche funerarie per propiziare la vita dopo la morte. Il Buddhismo, nato in India, arriva in Cina verso al fine dell’epoca Han, nel primo secolo dopo Cristo. In mostra, le foto delle grotte di Longmen, uno dei più grandi siti di arte rupestre, con oltre centomila statue di Buddha.
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