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Paolo Isotta per “Il Corriere della Sera”
La prima volta che vidi Lorin Maazel avevo quattordici anni: in televisione interpretava da violinista un Concerto di Mozart e lo dirigeva; e prima dell’esecuzione ne fece un’analisi per gli spettatori in un impeccabile italiano. Le ultime volte furono un Requiem tedesco di Brahms alla Scala e un’Elettra di Strauss a Salisburgo.
In ambo queste circostanze diede il meglio di sé: mi ricordo che in Brahms il suo volto, solitamente disteso perché tutto gli riusciva troppo facile, era spasmodicamente concentrato. E alla Scala ne ho il più bel ricordo: erano le celebrazioni di Victor De Sabata e lui, dopo aver tenuto una splendida conferenza nella quale rievocò l’arrivo del sommo direttore a Cleveland, ove Maazel giovanissimo sedeva tra i secondi violini, diresse il Poema sinfonico del Maestro La notte di Platon. Lo vidi di presenza dirigere alla Rai di Roma l’Oratorio di Natale di Bach, il Giulio Cesare di Händel; e pezzi sia rari come la Messa solenne per la cattedrale di Gran di Liszt che di repertorio come la Nona di Beethoven.
Il Maestro Siciliani infatti lo stimava moltissimo e quella Nona gliela fece fare quale concerto d’addio: lasciava la Rai per approdare la seconda volta alla Scala quale direttore artistico. Uno dei più grandi direttori d’orchestra che io abbia conosciuti, Giuseppe Patanè, diceva che Maazel tra i direttori viventi era quello dotato del più bel gesto; non era vero, allora il più bel gesto era proprio quello di Patanè; ma quello di Maazel era straordinariamente didascalico e spianava alle orchestre ogni genere di difficoltà.
E Maazel non aveva limiti di repertorio: faceva tutto e tutto bene. Come ho detto, il limite di questo grande direttore (non uno dei più grandi di tutti i tempi, com’è stato incautamente affermato) era nell’eccessiva facilità colla quale riusciva ad affrontare qualunque cosa; il che lo portava a cadere nella routine e ad accettare anche impegni non qualificanti artisticamente. E una vera americanata era stata da parte sua la composizione e incisione
di antologie del Ring e del Tannhäuser di Wagner sul modello della Fantasia bandistica; ossia con le parti vocali eseguite dall’orchestra.
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