DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
Paolo Condò per “la Repubblica”
andrea pirlo foto mezzelani gmt 027
Ogni risposta di Andrea Pirlo alle domande che gli vengono poste inizia allo stesso modo. «Sì no...» premette il tecnico della Juventus, prigioniero di un tic verbale come altri suoi colleghi, per i quali qualsiasi avvenimento - anche straordinario - va esorcizzato da un «è normale che...», oppure da un «sapevamo » che esclude in linea di principio la possibilità di venire sorpresi.
Il «sì no...» di Pirlo fa pensare a un riflesso di educazione seguito da uno slancio di sincerità, «sì, mi hai posto una domanda sensata / no, in realtà questo non è un vero problema», ma la sua esperienza di parlatore seriale - dopo una carriera da campione silenzioso - è ancora così fresca da necessitare, come per i vaccini, di una sperimentazione più lunga. Pirlo ha aperto con un «sì no...» anche sabato scorso, quando gli è stato chiesto se il tipo di gara impostata contro la Roma richiamasse in qualche modo la Juve di Allegri; guadagnato così il breve tempo necessario per consolidare una risposta, è tornato con decisione verso il sì.
Perché non c' è nulla di cui vergognarsi nel riproporre uno stile di gioco che ha prodotto cinque scudetti e due finali di Champions - quello protetto e verticale di Max Allegri - e perché gli allenatori che da giocatori hanno vinto tanto rispettano i risultati come parametro di valutazione. Ne hanno goduto nella prima vita, se ne ricordano.
La partita difensiva contro la Roma, seguita tre giorni dopo da una scelta simile contro l' Inter nel ritorno di Coppa Italia - partendo da una situazione di vantaggio, particolare importante - è andata però in sostanziale controtendenza rispetto al tipo di gioco sviluppato da Pirlo nella prima metà della stagione, più vicino alle idee di Maurizio Sarri che a quelle di Allegri.
cristiano ronaldo andrea pirlo
Un calcio orientato al controllo della palla, e al suo recupero rapido una volta perduto, correndo in avanti; un calcio che ha in De Ligt il totem arretrato per la sua capacità di difendere il "campo grande" - come lo chiama Guardiola - ovvero la propria metà campo trasformata in prateria perché la linea difensiva è salita fino a centrocampo. Un aiuto enorme al pressing, perché riduce gli spazi aumentando gli uomini in caccia, ma anche un rischio, perché basta un buon innesco per catapultare un contropiedista verso Szczesny (pensate al gol di Vlahovic in Juve-Fiorentina).
Occorrono difensori con l' occhio per anticipare il lancio avversario e arretrare, e la velocità per rincorrere il fuggitivo: De Ligt è fra i migliori interpreti del ruolo al mondo perché oltre a queste doti possiede il fisico per marcare un Lukaku (anche un Haaland, al caso) sia in campo aperto che negli spazi stretti.
La gara contro la Roma, giocata con una difesa così bassa da rinchiudersi spesso in area di rigore, ha visto invece la riscossa di Giorgio Chiellini, i cui inevitabili limiti atletici - ha quindici anni in più - non pesano se lo spazio viene ristretto e conta l' arte della marcatura. Senza campo da difendere alle spalle, Chiellini resta uno dei migliori; al di là dei gossip sul rapporto umano, la sua nota distanza dalle idee di Sarri si spiega anche così.
Prima di celebrare il ritorno di Pirlo a un calcio più vicino alla tradizione italiana - pulsione irresistibile per tanti - gioverà però ricordare i motivi che due anni fa hanno innescato il periodo più tellurico per la panchina della Juve, perché esonerare in fila due tecnici capaci di vincere lo scudetto non può mai essere normale. La decisione di licenziare Allegri arrivò dopo l' uscita dai quarti di Champions a opera dell' Ajax, perché malgrado l'onerosa aggiunta di Cristiano Ronaldo - inappuntabile come nel turno precedente, quello dei tre gol all' Atletico - la Juve non era stata soltanto battuta, ma dominata: il ritornello di quei giorni era che senza un calcio offensivo in Europa non si andava lontano, ma alla motivazione tattica si legava anche un regolamento di conti fra tecnico e staff dirigenziale se è vero che il primo tentativo fu quello di riprendere Conte, specialista di scudetti e non di coppe. Saltato quello - martedì in Coppa Italia si è definitivamente capito perché - spazio a Sarri e alla rivoluzione del gioco: tecnicamente, una scelta opposta.
Sulla stagione dell' allenatore tosco- napoletano è in corso una damnatio memoriae in perfetto stile italiano. Intendiamoci: il suo ingaggio fu un errore perché nel bagaglio portava un vissuto troppo polemico, cosa che né lo spogliatoio né i tifosi gli hanno mai perdonato.
andrea pirlo foto mezzelani gmt 025
Malgrado gli evidenti problemi ambientali, accentuati da un mercato orientato alle sue esigenze soltanto in De Ligt, Sarri ha comunque portato a casa lo scudetto, e nella battuta che fece stappando lo champagne («se l' avete vinto anche con me in panchina vuol dire che siete proprio forti») c' era più amarezza di quanto si colse sul momento. Sapeva che di lì a poco qualcuno avrebbe premuto il pulsante out, nemmeno la Champions - carta giocata malissimo, peraltro - avrebbe potuto salvarlo.
Ciò non toglie che Sarri abbia posto alcune basi di gioco posizionale molto utili al progetto che Pirlo, generosamente dotato di uomini adatti, sta sviluppando: Arthur, Chiesa, Kulusevski, Morata, lo stesso McKennie sarebbero stati elementi perfetti per le dinamiche sarriane e Pirlo, programmaticamente vicino a quelle idee, non se l' è fatto spiegare due volte.
Fino alla scorsa settimana la sua Juve ha sempre avuto l' ambizione di dominare il gioco. A volte non c' è riuscita e si è presa degli schiaffoni (il Barcellona dell' andata, l' Inter in campionato), ma questo fa parte della logica delle cose. È normale che...
Il ritorno della Champions, un terreno sul quale il calcio conservativo non tocca palla dal 2012 - vittoria di un Chelsea ultra-difensivo ai rigori sul Bayern - , fa pensare a una nuova oscillazione del pendolo di Pirlo verso controllo e recupero alto.
Mercoledì a Oporto vedremo, ma già stasera a Napoli sarà interessante capire la tendenza, perché Gattuso è nella situazione che è, e un tipo come lui chiuso all' angolo può reagire in modi inaspettati. Il che suggerirebbe altra prudenza a Pirlo. Sullo sfondo, il grande tema che presto verrà alla luce: Ronaldo, che fino a un certo punto è il supremo correttore di ogni errore o pigrizia tattica, ha 36 anni e ancora una stagione di contratto.
Se la Juve è intenzionata a prolungarlo, a primavera dovrà parlarne con Mendes.
PIRLO ALLA ALLEGRI?
Si scatena il dibattito intorno alla “nuova” Juventus di Andrea Pirlo. E’ stato lo stesso tecnico bianconero, dopo il pass per la finale di Coppa Italia conquistato a spese dell’Inter, a confermare con ironia l’evoluzione “allegriana” dei campioni d’Italia, molto più attenti alla difesa (appena un gol subito nelle ultime sette partite) e cinici in attacco: “Ricorda la squadra di Allegri? Se serve a vincere quanto ha vinto lui, allora chiamatemi tranquillamente ‘allegriano’…”.
Sulla questione non sono però tutti d’accordo: Lele Adani, da sempre critico nei confronti del mister toscano, in un intervento alla Bobo Tv ha bocciato la Juve meno spettacolare ma molto più compatta proposta da Pirlo: “Dopo aver perso contro l’Inter in campionato, la Juve ha fatto 16 gol e ne ha subito uno. Questo può bastare in Italia, ma non in Europa. Bisogna analizzare le prestazioni, ritmo, intensità. E bisogna analizzare la prova dei difensori, un’analisi che non può basarsi solo sul salvataggio sulla linea di porta”.
“Certo che questo atteggiamento in Italia basta, ma se Insigne segna su rigore, senza Sanchez all’andata o Sensi ieri, che succede? Questo tipo di calcio certo che ti dà certezze, ma non aumenti la visione, non ti allinei con le grandi. La Juve può fare questo perché c’è Ronaldo, a patto che non diventi un alibi.
Ronaldo dopo i 30 anni ha realizzato 300 gol in 326 partite. E la Juventus con un calciatore come lui parte sul’1-0. Ma la domanda è: cosa ha fatto la Juve con lui in Champions? E’ uscita ai quarti e agli ottavi. Questo ti fa capire che non ti basta Ronaldo. In Europa si parla un altro linguaggio, lì sei rivelato. Non basta una difesa solida e Ronaldo in attacco”.
“Io faccio il tifo perché anche in Italia si torni ad alzare la Champions, ma Ronaldo non può essere da solo in attacco nel deserto. Non è questione di chi allena, l’atteggiamento visto ultimamente dalla Juve va bene in Italia, non in Europa”.
A spalleggiare Adani anche Antonio Cassano: ”Se tu vai in Europa e pensi che col Porto fai una passeggiata di salute occhio che ti fai male, è una squadra che gioca a calcio. Non puoi fare queste partite sperando che Ronaldo ti risolva i problemi: magari qualche volta te li risolve, ma altre volte no. Non può fare sempre tre gol. In Italia va bene, vinci tutte le partite perché s’è abbassato il livello.
Ma in Europa non vinciamo da undici anni, facciamo una fatica allucinante. Allegri è arrivato due volte in finale e poi finito, ha perso con Real Madrid e Barcellona. Quando poi arrivi a quel livello lì fai una fatica allucinante e ti mandano a casa. La Juve negli ultimi due anni è uscita agli ottavi e ai quarti, il livello in Europa è più alto“.
“La Juve sta provando a cambiare rotta, hanno sempre voluto vincere anche non giocando a calcio. Con Sarri ci hanno provato e non ci sono riusciti. Ci stanno provando ora con Pirlo, che vorrebbe fare qualcosa di diverso, ma è difficile. In Italia ti basta, ma in Europa è dura”.
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