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Tony Damascelli per “il Giornale”
Avevano ragione, in ruoli diversi, Giulio Onesti e Antonio De Curtis. Disse il primo, presidente del Coni: «I presidenti del calcio? Ricchi scemi».
Il secondo, artista immenso, aggiunse: «Signori si nasce e io, modestamente, lo nacqui».
Nulla è cambiato da allora, anzi molto è peggiorato, nel lessico e nelle posture. Basta leggere e ascoltare parole e comportamenti di personaggi famosi e infamanti, il calcio di oggi per dire ma anche quello di ieri, per avere conferma che Onesti e Totò dicevano il giusto.
Prendete uno come De Laurentiis Aurelio, imprenditore nel settore cinematografico, nipote del grande Dino e attuale presidente del Napoli. Gli piace assai apparire, sfilare lungo la sua passerella esclusiva, si fa spazio con il corpo e con le parole, alcune di grande effetto e di rarissimo affetto, manda a cagare i suoi sodali del football, insulta i giornalisti, se ne fotte dei protocolli e cerimoniali, ordina il silenzio stampa con Sky ma va all'incasso dalla stessa dei diritti tv dimenticando i doveri, prende a male parole l'Uefa e Michel Platini poi chiede i biglietti omaggio per le finali di coppa e quindi abbraccia il francese perché « scurdammoce 'o passate » ma senza dire « simm'e Napule paisa' », perché l'Aurelio è nato a Roma.
Roma là dove vive, lavora e abita Lotito Claudio, un altro splendido inquilino del caseggiato football, un uomo che non si piega anzi spezza lui l'avversario, citando il latino ma non ore rotundo come suggeriva Orazio ma con pronuncia romanesca come vorrebbe Petrolini.
Lotito non si smarca, dal De Laurentiis di cui sopra prese anche un cazzotto, secondo usi e costumi nostrani, del diggì della Juventus, Beppe Marotta affetto da strabismo, ha detto che quando gioca a biliardo con un occhio guarda la pallina con l'altro segna i punti, roba da club inglese, insomma. Resto al Sud, anzi vado sull'isola di Pirandello, Verga e Camilleri. Oggi è la terra di Pulvirenti, l'uomo che volava nei cieli con la Windjet precipitata in bancarotta e sui campi di football del continente, con il suo Catania faceva impazzire i tifosi e gli scommettitori, insultava i padroni del Nord lui uomo verace ma attaccato, oltre che all'isola, anche al vile denaro, centomila euro a partita da vincere, prendere o retrocedere.
E Zamparini Maurizio? Bravo, almeno, come imprenditore e come presidente del Palermo ma quando parla a volte straparla e va preso a piccole dosi, dà dello zingaro a Mutu e così si è espresso su Gattusio: «Sarà il prossimo allenatore del Palermo. Domani mi porta il pesce e me lo cucina lui» e di Ferrero, collega della Sampdoria, ha così pensato: «È uno sciaccalletto».
Ferrero, dunque, roba da Zelig o da Chiambretti night and day . Nemmeno ad immaginarlo potresti averlo così come è, una macchietta dell'avanspettacolo, spassoso, imprevedibile, imprevisto, cacciaballe, dice che il Pulvirenti catanese cui ho accennato «deve morire», dà del «filippino» all'indonesiano Thohir, dice che «Lotito al funerale vorrebbe fare il morto e al matrimonio lo sposo» (su questo il Ferrero anche ragione).
Non è che Preziosi, vicino di stanza a Genova, se la cavi meglio, così come Della Valle Diego per il quale John Elkann è un «povero imbecille», ribaltando uno dei due aggettivi utilizzati da Giulio Onesti. Bei tempi, dunque, ma non è che nel passato fossero tutti petali di rosa. Uno su tutti e prima di tutti, Lauro Achille, ' o commandante.
Come scelse Cané, ala brasilera ancora oggi residente in città? Josè de Gama, un procuratore di calciatori sudamericani, gli spedì una serie di fotografie dei migliori professionisti brasiliani. Lauro chiamò a consulto Giggino Scuotto, l'uomo che ricostruì il Napoli dopo la guerra: «Vedì, Gigì, io voglio prendere chisto, pecché è 'o cchiu brutto. Chist'è niro, gli avversari si spaventeranno e lui farà i gol. Pigliammelo».
ACHILLE LAURO SIVORI
ACHILLE LAURO GIOVANNI LEONE
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