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BOTTICELLI REIMAGINED
Victoria and Albert Museum
Cromwell Rd, London SW7 2RL,
dal 5 Marzo al 3 Luglio 2016
Lettera di Antonio Riello a Dagospia
venus, after botticelli, 2008 by yin xin
Non manco mai alle mostre del Victoria and Albert Museum di Londra che rimane sempre di gran lunga il mio museo preferito. Quella da poco inaugurata, "Botticelli Reimagined" è però, per vari aspetti, una mostra addirittura quasi inspiegabile le cui ragioni mi appaiono abbastanza misteriose e quindi particolarmente degne di essere indagate.
Subito entrati si potrebbe supporre, ingenuamente, si tratti di una rassegna su Sandro Botticelli (Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, al secolo detto appunto "il Botticelli", 1445-1510). Invece si è di fronte ad una sorta di meta-mostra nella quale il famoso artista toscano è quasi un pretesto del quale viene sfruttato, in pratica, il grande carisma. Se si preferisce, con metafora gastronomica, assume qui il ruolo di un "contorno" ad altri piatti ritenuti (a torto) più saporiti.
Uno scaltro e abile giochino che avrebbe potuto essere fatto facilmente con Michelangelo, Leonardo o qualsiasi altro maestro dell'Età Rinascimentale. La sensazione diffusa resta di una certa perplessità. Il critico Matthew Collings dell' Evening Standard addirittura demolisce la mostra senza mezzi termini.
I curatori della mostra, Mark Evans e Ana Debenedetti, hanno di certo confezionato un prodotto culturale formalmente ineccepibile. Si potrebbe dire che senz'altro è un evento museale furbo, trendy e con molto glamour, che però purtroppo appare anche in un certo senso "vuoto". Insomma una esperienza espositiva interessante ma che finisce per celebrare soprattutto se stessa e chi l'ha curata.
E' divisa in tre settori.
Nel primo (pervaso da una ossessiva colonna sonora bella ma curiosamente abbastanza incongrua al contesto: "Sad-Eyed Lady of the Lowlands" di Bob Dylan) ci sono parecchi artisti e "creativi" contemporanei che secondo i curatori sembrano essere stati ispirati dalle opere di Botticelli. Naturalmente parliamo dei lavori universalmente più noti, cioè della "Nascita di Venere" e del "Trionfo della Primavera" (non presenti purtroppo in mostra). Si inizia con due scene tratte da due film.
In uno, "Doctor No", si vede una giovane, nordica e procace Ursula Andress uscire dal mare tropicale di fronte ad un Sean Connery - ovviamente nei panni di James Bond - che guarda allupato. Nell'altro, "Le avventure del Barone di Munchausen" (un modesto film del bravissimo Terry Gilliam) Eric Idle guarda, allupato pure lui, una sensuale Uma Thurman che posa, come improbabile novella "Primavera".
Poi tanta arte visiva contemporanea (anche troppa forse, è la sezione più estesa). Opere che sfruttano il corpo femminile abbastanza spudoratamente, David La Chapelle e Joel Peter Witkin in testa. Altre che invece cercano di porre in discussione tale sfruttamento: Valie Export e Orlan.
Celebrazioni trasversali e multiculturali (la mostra è, come sempre a Londra l'arte, estremamente "politically correct" ) come quelle del cinese Yin Xin o del brasiliano Vik Muniz. Altri lavori ancora che invece sembrano non c'entrare assolutamente nulla e non si capisce perchè sono lì. Poi, non manca mai in questo genere di mostre, una bella opera di Andy Warhol (ma almeno, stavolta, assolutamente centrata rispetto al tema e di un certo impatto). C'è anche una piccola e maldestra sessione dedicata alla moda: semplicemente tremenda oltre che inutile.
La seconda sala è la più interessante di tutte. Mostra con ricchezza di materiali e suggestioni come il movimento PreRaffaellita, e in particolare Dante Gabriele Rossetti, abbiano riscoperto il Botticelli, la cui fama piano piano, dopo la sua morte era scivolata in uno oscuro "cono d'ombra". In effetti, come per molte altre cose italiane virtualmente scomparse nel XIX secolo dagli orizzonti culturali europei, sono stati i curiosi viaggiatori britannici che le hanno portate di nuovo al centro dell'attenzione mediatica e dell'immaginario collettivo.
E' successa una cosa simile alla città di Venezia, in un certo senso riscoperta definitivamente al mondo da John Ruskin. I Prefraffaelliti ispirano la propria attività direttamente al gusto pittorico toscano della seconda metà del 400, la languida sensibilità romantica anglosassone trova in questo contesto i suoi ideali e i suoi modelli. "La Ghirlandaia" del 1873 di Dante Gabriele Rossetti è uno straordinario dipinto che da solo meriterebbe la visita, tanto sa ben tradurre, in termini ottocenteschi, le coordinate culturali e visive dell'umanesimo italiano.
ursula andress come botticelli
La terza parte è dedicata finalmente all'opera di Botticelli stesso. Ma a parte una notevolissima "Natività Mistica" riferibile agli ultimi anni di vita dell'artista (e comunque visibile gratuitamente alla National Gallery, dove si trova di solito), non ci sono opere davvero significative del maestro fiorentino, se non opere minori e, come si dice in questi casi, opere "di bottega" o "di scuola".
Insomma l'idea qui è che manchi qualcosa di importante e di decisivo. Deludente. Davvero interessante invece, questo va giustamente riconosciuto, la parte dedicata ai disegni realizzati da Botticelli per illustrare la Divina Commedia, un corpus di incisioni davvero magnifico e purtroppo non ancora molto noto al grande pubblico.
Il catalogo del viaggio sulla "botticellitudine" è in verità molto ben fatto ed è, credo, lo strumento più adatto per capire il senso e le ragioni (non sempre ovvie e semmai anzi talvolta un po' confuse) dell'esposizione. In questo caso, parafrasando McLuhan, "il catalogo è la mostra".
PS. Lo stesso sponsor, la francese "Societé Générale" (peraltro certo assolutamente rispettabile) non è quello che ci si potrebbe e dovrebbe naturalmente e logicamente aspettare: ovvero una importante banca o azienda italiana. Tutto questo avviene grazie anche alla collaborazione con la GemaldeGalerie di Berlino. Si, questa volta l'Italia sembra essere un paese lontano, lontano: un paese davvero favoloso (nel senso che non esiste).
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