realismo magico mart

ROBE DA “MART”: “REALISMO MAGICO” ALL'ITALIANA - LUCA BEATRICE: DA CASORATI A CARRA’, L' INCANTO NELLA PITTURA ITALIANA DEGLI ANNI ’20 E ‘30 IN MOSTRA AL MUSEO DI ROVERETO – QUANDO BONTEMPELLI RILANCIÒ LA FIGURAZIONE IN CHIAVE NAZIONALE ED EUROPEA: “L’UNICO STRUMENTO DEL NOSTRO LAVORO SARÀ L' IMMAGINAZIONE" (1926) - VIDEO

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Luca Beatrice per il Giornale

 

cagnaccio di san pietro

Che l' arte del '900 non risponda a un andamento evoluzionista, nel puro senso darwiniano secondo cui a ogni manifestazione d' avanguardia ne seguirebbe un' altra ancora più estrema, lo conferma ciò che periodicamente accade quando si considera la pittura. A cominciare proprio dagli anni '20, quando si assiste a un prolungato e insistito tornare in auge della figurazione, difficile da prevedere anche solo fino al 1916, anno della morte di Umberto Boccioni che simbolicamente ferma la prima fase del Futurismo, negli stessi anni in cui si sviluppano i principali movimenti di rottura con la tradizione.

 

LUCA BEATRICE

E che dire degli anni '80, dominati da una vasta reazione all' Arte Povera e in genere ai linguaggi della smaterializzazione, giungendo all' estremo opposto (Transavanguardia a parte) di una pittura citazione, anacronistica, deliberatamente falsa? Persino nei '90 si è parlato di Nuova Figurazione, a fiancheggiare la moda neo-concettuale, anche se in entrambi i casi si tratta ormai di revival. Sono tutte situazioni antecedenti la globalizzazione, dal 2000 in poi i conti si fanno in maniera diversa.

 

Tornando però alla storia, è davvero bella, emozionale e filologica la mostra «Realismo magico», al Mart di Rovereto fino al 2 aprile, curata da Gabriella Belli - che torna così nel «suo» museo - e da Valerio Terraioli.

 

Definire il «Realismo magico» «un modo di sentire, una scelta alternativa di percepire, leggere e interpretare il contingente, la quotidianità», comporta una serie di esclusioni: non è un movimento artistico né un gruppo compatto come il Novecento di Margherita Sarfatti, non è il Ritorno all' ordine antimodernista e arcaicizzante sostenuto da Valori plastici e neppure l' estensione della metafisica di de Chirico e Carrà. Più corretto parlare di «insieme di modi, per non dire di formule, in cui sono coinvolte anche personalità alle quali si riconoscono modalità espressive diverse, più o meno ispirate al novecentismo, alla Metafisica, al Surrealismo, ma che presentano affinità e contaminazioni con questa grammatica espressiva» (Terraioli).

casorati gli scolari

 

Pur se condivisa con i tedeschi, la paternità del Realismo magico va attribuita a Massimo Bontempelli: «unico strumento del nostro lavoro - scrive nel 1926 - sarà l' immaginazione.

 

Occorre imparare l' arte di costruire, per inventare i miti freschi onde possa scaturire la nuova atmosfera di cui abbiamo bisogno per respirare». Lo sguardo, piuttosto, si indirizza verso le esperienze della pittura del nord Europa, trae ispirazione dalla figura del Doganiere Rousseau, nella cui pittura diversi intravedono «il seme del nuovo... quell' indicibile moto di grazia e devozione, favola e mistero». Parola chiave è «incanto», «componente essenziale della loro quieta narrazione, tra vita sospesa e quotidianità mai consumata, tra tensione al divenire e attrazione per il tornare o, meglio sarebbe dire, per lo stare eternamente» (Belli).

 

Di questa breve stagione dell' arte italiana, che già negli anni Trenta può considerarsi conclusa, in mostra i capolavori ci sono tutti. A cominciare da Felice Casorati - Gli scolari (1927-28) è sulla copertina del catalogo - di cui è esposto lo straordinario Concerto (1924) e l' enigmatico Uova nel cassettone (1920) che ne spiega l' amore per Piero della Francesca.

Realismo magico mart

 

Diverso il caso di Carlo Carrà, specializzato nell' andirivieni tra avanguardia e restaurazione, che attraversa il Realismo magico con pochi quadri, uno di questi Le figlie di Loth (1919) dove evidente è il recupero del primitivismo. Iconici il tardo Giocoliere di Antonio Donghi (1936), le maschere di Gino Severini a quel punto già uscito dal Futurismo, la coppia nuda ai limiti dell' iperrealismo di Cagnaccio di San Pietro, Zoologia (1928) che sembra un dipinto di Philip Pearlstein realizzato mezzo secolo prima, oltre agli straordinari ritratti di figure ritagliate nello spazio e letteralmente incollati su fondi dai colori squillanti.

 

carra'

Decide di farsi chiamare così, Cagnaccio, proprio per sottolineare il legame con i maestri del passato, veneziani in particolare, anche se è evidente il rimando tutto moderno alla Neue Sachlichkeit di area germanica che diversi problemi di censura gli causa fin dalla Biennale del 1928.

 

Val però la pena di soffermarsi su nomi meno altisonanti eppure curiosi, cominciando dall' armeno Gregorio Sciltian, maestro della realtà illusoria di un «vero sempre più vero fino al finto», dai critici ritenuto un minore e invece eccentrico, paradossale, orgogliosamente antimoderno.

 

E ancora la fascinosa argentina Leonor Fini, trasferitasi a Milano per seguire Achille Funi che poi a Parigi stringe molteplici rapporti con l' ambiente surrealista, talentuosa e controversa femme fatale, un personaggio da Belle Epoque che potrebbe tranquillamente competere, quanto a bramosia erotica, con Frida Kahlo, magari non pittrice eccellente, eppure immancabile protagonista dei salotti della Ville Lumiere.

 

Continuando con quei maestri di provincia, operanti nel Triveneto - Luigi Bonazza, Bruno Croatto, Oscar Hermann Lamb, Mario Lannes, Piero Marussig, Arturo Nathan, Carlo Sbisà - che rinsaldano il legame col territorio, dove scoprire estri e qualità davvero particolari.

battesimo donghi