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Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Stroot e Nainggo, i due barbari, erano già anime del tempio giallorosso. Ora, per sempre. Per quello che sono stati oggi all’Olimpico, due gol feroci, per quello che sono stati, per quello che sono in assoluto. Derby strano, bloccato, intasato dalla paura e poi dalla rabbia. E poi di qua la frustrazione, di là la felicità assoluta di sapersi grandi anche nel marasma, dentro una maglia bellissima, la maglia del derby.
Quattro, cinque giocatori della Lazio hanno sin dall’inizio facce paranoiche, allucinate, da manicomio prima di Basaglia. Lulic, Marchetti e Parolo su tutti. Cataldi in panchina. Deve trattarsi di vita o morte per alcuni di loro. Simone Inzaghi divorato dalla stress. Spalletti niente male anche lui, ma lui sa come drenare l’ansia. Banti, l’arbitro, lo chiameremo Tremarella. Eternamente insolvente, indeciso, troppo codardo per un derby così teso.
Dà a non dà rigori, gli resta il rosso incollato nel taschino quando Biglia si esibisce nel fallo da seconda ammonizione. Poi s’arroventa anche lui nel mischione folle seguito al gol di Strootman e si adegua. Dzeko sembra quello dell’anno passato. Spreca di testa il clamoroso. Senza il vento di Salah al fianco, che scompagina tutto e tutti, è abbastanza perso, molto pesante. Ma ci pensano altri per lui. Primo quarto d’ora della Lazio.
Poi solo Roma, niente di che, ma quanto basta per sentirsi in partita. Dzeko spreca due volte di testa, poi Strootman va deciso sulla supponenza tutta brasileira di Wallace e scava il paradiso per sé e quei pochi, diecimila, così elementari da pensare che la Roma, questa Roma, va sostenuta all’Olimpico e non a Trigoria. Il gol di Nainggo, botta da fuori, è solo il lancinante acuto di un secondo tempo stupefacente, l’ultima mezz’ora in particolare, un putiferio di gesti eroici, romantici e anche tecnicamente da mostra.
Benissimo tutta la difesa. Molto bene Emerson Palmieri, sempre più fiduciato da Spalletti. Magnifico De Rossi, capitano grandioso, emotivo e calmo, finalmente capace di dominare il suo infiammabile sistema nervoso. Fin troppo bello il gesto della squadra che va ad esultare davanti alla Sud vuota.
Gli unici a perdere sono stati loro, quelli convinti che ingaggiare battaglie estreme per il loro “onore” sia roba da tifosi. E non soffiare addosso a chi, con la loro maglia addosso, sta lì per farli felici. Roma più che il Milan, a caccia della Juve. Che ha confermato sabato, spazzando l’Atalanta, la sua regola inflessibile: la sconfitta è insopportabile. Tra due settimane, prima di Natale, sapremo.
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