DAGOREPORT - INTASCATO IL TRIONFO SALA, SUL TAVOLO DI MELONI RIMANEVA L’ALTRA PATATA BOLLENTE: IL…
Estratti dell’articolo di Daniele Sparisci e Giorgio Terruzzi per www.corriere.it
Gran Premio di Montecarlo, anno 2015. Niki Lauda chiacchiera con qualche vecchio amico pochi minuti prima dell’inizio delle prove. Davanti a lui transitano quasi contemporaneamente Lewis Hamilton e Nico Rosberg, compagni di squadra nel team Mercedes. Sono amici da una vita, sono in lotta, non si sopportano. Niki: «Guarda, osservali bene. Nico è biondo, ha un padre campione del mondo, la sua famiglia è benestante, pane e burro ogni mattina. Lewis è nero, viene da una famiglia complicata, ha sofferto quando era un bambino. Secondo te chi ha più voglia di farcela?».
La risposta stava in un doppio fotogramma, sta nei libri di storia. Lewis: occhi in terra da ragazzino, occhi colmi di luce ora, da quando ha compreso di potersi permettere ogni rivincita. Il bilancio, in attesa di aggiornare i numeri dopo il passaggio epocale alla Ferrari, è un festival del record: 7 titoli mondiali, 105 vittorie, 104 pole, 67 giri veloci in gara, 202 podi. Totale: oltre 51 milioni di follower attenti alle sue mosse.
Quando corre, quando sceglie gli abiti del suo stupefacente guardaroba, quando suona, quando racconta della dieta vegana, quando espone Roscoe, il suo bulldog (vegano pure lui), quando viaggia, quando Carlo d’Inghilterra lo nomina Sir, quando si batte per i diritti civili, quando parla di Dio. Una star globale, un fenomeno. Con partenza ad handicap.
(…) La prima casa di Lewis offre indizi esaurienti. Peartree Way. Stevenage, Hertfordshire, 30 miglia a nord di Londra. Periferia di una periferia, un luogo molto simile a quello che vide Michael Schumacher nei primi anni di vita. Lewis, data di nascita 7 gennaio 1985.
Madre inglese, Carmen, padre, Anthony, originario di Grenada. Due sorelle acquisite da una parte, un fratello disabile dall’altra. I genitori si separano, lui comincia a patire. A casa, a scuola. Bullizzato, percosso, mortificato. Occhi bassi, come detto. Sino a quando il babbo gli regala una macchinina elettrica. Ha 6 anni e, finalmente, un tappeto volante per una libertà che ha dentro rabbia, gioia e un talento impressionante.
C’è Ayrton Senna ad ispirarlo. Un riferimento che durerà per sempre. Una affinità elettiva. Spiritualità come benzina, per entrambi, l’attenzione per i più deboli trattata al pari di una tutela, di un significato alto. Senna è il suo Mago Merlino. Lo accompagna, spinge una attitudine famelica. Kart per trasformare un gioco in un sogno potentissimo. Hamilton vola.
lewis hamilton charles leclerc 2
Grazia e ferocia rivelate curva dopo curva. Ron Dennis, capo della McLaren, lo scopre, sbalordito. Lo adotta. A 12 anni Lewis ha già rivoluzionato il proprio destino. L’oro tra le mani, in tasca. Il resto è una verticale quasi sconcertante: una raffica di meraviglie al volante di monoposto sempre più potenti, debutto in Formula 1 ad anni 22. Destinazione: titolo mondiale. Dubbi, nella testa di Hamilton, in quella di chi ha già imparato a conoscerlo: nemmeno uno.
È il 2007. Un anno simile ad un manifesto epocale. Miele e fiele, in abbondanza, all’alba dell’avventura. La cronaca, qui, serve. Lewis entra nel circo. La pedana: zeppa di spigoli. Con un cinismo tipico, Ron Dennis lo sistema al fianco di Fernando Alonso, un predatore implacabile, due titoli mondiali appena conquistati. Hamilton? Che impari, faccia la spalla. Sì, ciao.
(…)
«Ma perché si isola in un angolo nel motorhome e non parla? E che bisogno c’è di mettersi collane e anelli?». Brontolava spesso Niki Lauda, presidente onorario della Mercedes. Persino ad alta voce. Di Lewis non capiva alcune sfumature. Eppure, non ha smesso mai di crederci. Era la sua grande scommessa, lo aveva convinto a trasferirsi alla Mercedes («In Inghilterra pensavano fossi pazzo a lasciare la McLaren per andare lì», ricorda Hamilton) che non riusciva a vincere nemmeno dopo aver richiamato Schumacher.
Una staffetta simbolica fra fuoriclasse: Michael al ritiro definitivo a fine 2012, Lewis all’ingresso della casa stellata per diventarne il simbolo più lucente. La capacità di leggere in anticipo gli eventi divide i fenomeni dai semplici talenti. Nel 2014 la Formula 1 aveva stravolto i regolamenti introducendo i motori ibridi (i più complessi di sempre), quello della Mercedes è inavvicinabile per i rivali.
Lauda sorride di più, ha capito: Lewis va lasciato libero. Libero di esprimersi attraverso il look, un’esigenza dettata dalla ricerca di sé stesso, un’esplorazione continua dei propri limiti. Un viaggio intimo e profondo che affianca la cavalcata fra i record a trecento all’ora, con proprio Lauda come riferimento. Sente la necessità di compierlo.
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Still I Rise, sul corpo si è tatuato i versi della poetessa Maya Angelou. È un inno alla vita, alla lotta, per i diritti: porta i temi del razzismo, le cause del movimento Black Lives Matter, nel pianeta delle corse; crea una fondazione per aiutare le minoranze, segue l’esempio di Senna, anche per il carisma. Still I Rise, mentre a spallate in pista si fa largo il nuovo re della F1, Max Verstappen. Accomunato dalla sua stessa fame, imparagonabile per stile e modi.
lewis hamilton con il casco arcobaleno 3
Il re è triste, la notte buia di Abu Dhabi non finisce mai. Il Mondiale perso all’ultimo giro contro Verstappen (fra le polemiche) nel 2021, è un fantasma che inquieta Lewis ben oltre la crisi tecnica della Mercedes. Quasi due anni prima di ritrovare una vittoria, l’estate scorsa a Silverstone. «Ho dubitato di poter tornare a certi livelli», ha rivelato. Era sincero o recitava? A volte con lui il confine è sottile, abituato com’è a frequentare anche il cinema. È stato il coach di Brad Pitt per le riprese del film F1 (coprodotto dallo stesso Hamilton, uscirà a fine giugno), mentre aveva già scritto la sceneggiatura più importante della sua vita: il contratto con la Ferrari.
lewis hamilton black lives matter
Obiettivo ottavo Oscar, come nessuno. A Maranello entrava in incognito per comprare supercar, stavolta ha trovato il tappeto rosso un anno prima del suo ingresso, quando il passaggio è diventato ufficiale. Energia nuova, la cercava. Se non vincerà pazienza, avrà comunque concluso la carriera nel luogo dei desideri. Una scelta ragionata, come ogni sua mossa, perché dietro all’istinto Lewis è sempre stato un abile calcolatore.
«Parlava di andare in Ferrari già nel 2004 – ricorda Fred Vasseur, il capo del Cavallino che lo ha seguito in Formula 3 e Formula 2 – convincerlo è stato facile». Era già un ragazzino velocissimo Lewis, ora si sposta scortato dalle guardie del corpo. Verso un altro sogno.
LEWIS HAMILTON PIERCING hamilton verstappenhamiltonLewis Hamilton 2lewis hamiltonLewis HamiltonVERSTAPPEN HAMILTON 14LEWIS HAMILTONlewis hamilton
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