THURAM: “JUVE E BARÇA, LE CONOSCO BENE’’ – MESSI, SUAREZ, NEYMAR. POCHI PARLANO DELLA GRANDE DIFESA DEL BARCELLONA, LA MIGLIORE DI SPAGNA. DOPO DI CHE, LA BELLEZZA DEL CALCIO È CHE PUÒ VINCERE IL PIÙ DEBOLE’’

Maurizio Crosetti per “la Repubblica”

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Il destino di Lilian Thuram ha incrociato Juve e Barcellona ben prima che Juve e Barcellona si incrociassero. Questo gli provoca una specie di dolce scissione interna: «Cinque anni a Torino e dieci in Italia, contando anche il Parma, e due in Spagna, gli ultimi della carriera. Mondi diversi e tanti amici ovunque. Gente che mi vuole bene, alla quale voglio bene. Non serve di più».

 

Thuram, cominciamo dall’ovvio: chi vince?

«La più forte squadra al mondo, con il più forte giocatore al mondo, può essere battuta. Si chiama sport».

 

Può succedere, certo, ma come?

«Restando fedeli alla propria identità. Juve vuol dire Italia, cioè un calcio comunque difensivo. Non è un disonore. Non conta tenere sempre la palla, come invece per il Barcellona (eccola, la sua identità), ma segnare un gol più dell’avversario. Possibile».

 

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Qualcuno dice: la Juve non ha niente da perdere.

«Che fesseria! Vi sembra niente, una Champions?»

 

Messi, Neymar, Suarez: e poi?

«Pochi parlano della grande difesa del Barcellona, la migliore di Spagna. Dopo di che, la bellezza del calcio è che può vincere il più debole».

 

C’è qualcosa più di Messi?

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«Solo Messi, cioè la sua continua voglia di migliorarsi. Lui è nato grande, ma non così grande. L’ho visto allenarsi, lavorare tantissimo. Unico anche per come sa mettersi in gioco».

 

Debuttò proprio contro la Juve, era quasi un bambino.

«Lo so, al Teofeo Gamper del 2005. Non ero in campo, ma al ritorno a Torino i miei compagni mi dissero che avevano visto un giovanotto fenomenale, un talento pazzesco. Colpì tutti».

 

Ci racconti meglio l’identità del Barcellona.

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«Quando arrivai là insieme al mio amico Zambrotta, ci accorgemmo di un altro modo di vedere il calcio. Per loro il pallone è tutto. Lo usano sempre, anche quando fanno ginnastica. Il “torello”, quell’esercizio in cui un giocatore sta in mezzo e cerca di catturare la palla che gli altri si passano in cerchio, in Italia è solo un divertimento, invece per il Barcellona è un’ossessione che dura ore e ore».

 

Le piacerebbe che il suo amico Buffon alzasse la coppa?

«Moltissimo, sarebbe una magnifica storia di sport. Dopo Madrid gli ho detto: Gigi, io ho fatto carriera anche grazie alla tua bravura. Un portiere del genere copre gli errori dei difensori. Ha saputo superare molte difficoltà, anche grossi problemi alla schiena e adesso mi sembra più forte di sempre».

 

Altre belle storie possibili?

«Andrea Agnelli che porta quel cognome e io ricordo da ragazzino in trasferta con la squadra. Marchisio e Chiellini che si allenavano con noi titolari, ed erano due sbarbatelli. Ma anche Pedro e Busquets, pure loro li ho ben presenti quando cominciavano la carriera al Barcellona, dove ogni ragazzo porta l’imprinting della prima squadra e sa muoversi sul terreno di gioco quasi a memoria. Oppure penso a Iniesta, una persona magnifica oltre che un fuoriclasse meraviglioso. O magari Xavi: sarebbe bello se vincesse la Champions alla sua ultima partita in blaugrana».

Lilian Thuram et Karine Lemarchand au au eme Gala de l Union Des Artistes a Paris ke novembre portrait w Lilian Thuram et Karine Lemarchand au au eme Gala de l Union Des Artistes a Paris ke novembre portrait w

 

Lei è francese: pensa che Pogba sia davvero un fenomeno?

«Senza dubbio. È già tra i più forti al mondo, e nel suo ruolo non avrà rivali. Perché usa anche la testa, ha personalità da veterano e paura di niente».

 

Chi è l’anima del Barcellona?

«Mascherano: mi piace da morire. Ogni allenatore lo vorrebbe, per come dà tutto e per come trasmette il suo spirito alla squadra, fino all’ultimo istante. Un vero esempio. In tanti sanno giocare bene a pallone o anche benissimo, ma la densità umana è materia preziosa, molto rara».

 

Ne avrà trovata anche alla Juve, no?

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«Ho avuto la fortuna di giocare in una squadra in cui non servivano parole. Nello spogliatoio c’era gente come Pessotto, Conte, Ferrara: entravi lì dentro, e se non eri proprio stupido diventavi già della Juve. Bastava seguire la direzione indicata da quei grandi personaggi».

 

Esiste davvero, lo spirito di una squadra?

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«Eccome. Altrimenti non sarebbe possibile resistere per oltre un secolo e restare sempre i migliori, o battersi per esserlo. Questo lega Juventus e Barcellona, potremmo definirla un’identità simile».

 

Thuram, lei ha scritto due libri, “Le mie stelle nere” e “Per l’uguaglianza” (Add editore): è una voce molto ascoltata quando parla di diritti, doveri e libertà. Valori che il calcio ignora, travolto da scandali, violenza e razzismo: come se ne esce?

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«Con l’educazione e la pazienza. Cambiando le teste e poi le persone. Spesso, anche, cambiando chi comanda ».

 

Che tipo di finale immagina a Berlino?

«La vorrei bellissima, epica. Piena di gol e coraggio, piena di bellezza. Vorrei che fosse una gioia per il calcio».

 

È ancora possibile gioire senza troppi schieramenti? Si può tifare per il gioco, e basta?

«Io penso di sì, è una splendida utopia. Dirò di più: per certi gol di Messi, dovrebbero ringraziarlo persino gli avversari: è ricchezza comune, ci si può solo fermare e applaudire. Tutti. Anche i tifosi dell’altra squadra. Anche l’arbitro».