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Estratto dell’articolo Stefano Bartezzaghi per “Il Venerdì - la Repubblica”
“Trend", "Matrimonio a pezzi", "Fuori di testa", "Kitsch". Sono alcune fra le espressioni che in Palombella Rossa inducono Michele Apicella – il personaggio ideato e interpretato da Nanni Moretti – a schiaffeggiare una giornalista che le usa, quindi parla male, quindi pensa male, quindi vive male. Il film è del 1989 e chissà che non sia stato proprio in seguito alla sua visione che Gillo Dorfles decise di ripubblicare la sua strepitosa «antologia del cattivo gusto». Intitolata Il Kitsch, a ragione è ritenuta responsabile della diffusione in Italia del termine tedesco. Ma chi dice «Kitsch» pensa male e vive male?
[…] Oggi la riedizione del 1990 torna in libreria grazie a Bompiani e si può così ripercorrere quel tracciato di immagini con cui in Italia abbiamo cominciato a configurare il Kitsch. La confezione leonardesca della Robiolina Gioconda e quella delle calze Mona Lisa Duralon. I cataloghi americani che offrivano una Venere di Milo, magari normodotata di braccia, oppure una testa di Asclepio da tenere in giardino. Un fumetto un po' stile Diabolik in cui la Monaca di Monza, sventurata, risponde a Egidio: "Voi... voi siete impazzito!" e poi "Mio Dio! Mio Dio! Devo aver perso la testa! Quello che sto facendo è orribile!".
Un souvenir veneziano costituito da un Cristo in plastica crocifisso sui dorsi di quattro conchiglie, una Tour Eiffel che macina il pepe, il dipinto di una donna nuda che suona il violino in riva al mare (già promettente copertina della prima edizione), sino al pornokitsch presentato da Volli (soft il porno, hard il Kitsch) e infine i nani da giardino destinati a diventare stemma universalmente riconosciuto del Kitsch più terra terra.
il sorriso della gioconda sull involto di una robiola
NON SI SALVANO I BEATLES
"Spazzatura artistica": così, sia pure in nota, Dorfles sintetizzava la definizione primaria, in linea con gli studiosi che costituivano le sue fonti teoriche: innanzitutto Ludwig Giesz e Hermann Broch. Quattro anni prima, nel 1964, Umberto Eco aveva pubblicato la sua Struttura del cattivo gusto, dove analizzava brani kitsch di autori come Ernest Hemingway e Giuseppe Tomasi di Lampedusa, infine sostenendo che «si sarebbe potuto essere molto più cattivi di così».
macina pepe a forma di torre eiffel
Cattivi contro il cattivo gusto o contro chi non lo distingue da quello considerato "buono"? In ogni discorso sul Kitsch si può presentare l'equivoco, infatti Dorfles dai suoi precursori tedescofoni mutuava la terribile categoria dei "Kitsch-Mensch", gli "uomini-Kitsch": «si tratta di individui che credono che dall'arte si debbano trarre soltanto impressioni gradevoli, piacevoli, zuccherate; o, addirittura, che l'arte serva come "condimento", come "musica di fondo", come decorazione, come status-symbol, magari, come mezzo per fare bella figura in società, e non certo come cosa seria, esercizio faticoso, attività impegnata e critica...».
un giovane vittorio sgarbi kitsch per la pubblicita di clarks
[…] All'epoca Dorfles non si faceva tanti scrupoli a dividere l'umanità tra coloro che sapevano apprezzare per le giuste ragioni le belle arti e il pubblico preda inerme degli spacciatori di "spazzatura artistica" ("surrogato", "contraffazione", "appiglio sentimentale", "grossolanità e pacchianità"). Ma all'altezza del ‘68 il già cinquattottenne Dorfles includeva nel novero dei fenomeni "pseudo-artistici" anche i fumetti in blocco e i Beatles, a cui pure concedeva di essere simpatici giovanotti e autori di alcune canzoni «da non disprezzare».
madonna fotografata da herb ritts sulla copertina di interview
Nel 1990 rileggere queste pagine fece quindi un effetto un po' strano, tanto più che Dorfles non ritoccò il testo ma, assieme a Mazzotta, aggiornò l'iconografia. I suoi commenti di 22 anni prima (un secolo, per l'industria culturale) furono così illustrati anche da una foto scurrile della giovane Madonna Ciccone, da una pubblicità delle Clarks "Sgarbi di piede", con un sardonico Vittorione, e simili. Eppure l'acuto Dorfles già nel ‘68 si era accorto che il Kitsch stava cessando di essere il nemico giurato delle arti – come voleva la critica marxista di Greenberg – e che i suoi segni dozzinali erano inclusi negli alfabeti della Pop Art e del concettuale.
Nuove categorie si affacciavano: il Camp ha incluso la rivalutazione ironica del Kitsch, il Trash si disinteressa di qualsiasi aspirazione elevata. Nel 2023, mettendo in prospettiva storica la relativa altezzosità di Dorfles, si finisce per sfogliare la sua antologia con un crescente e allucinato sospetto sulla sua preveggenza. Vediamo i temi di alcuni capitoli. Trasposizioni, cioè la Monaca di Monza in fumetto: cioè tutta la crossmedialità, multimedialità, intermedialità odierna.
Politica, con Mussolini che suona il violino e Hitler che bacia la bambinetta bionda tirolese: noi, con "Yo soy Giorgia", Renzi corridore, Schlein chitarrista (per non dir di Trump in ogni sua manifestazione), cosa dovremmo pensare? Seguono il Kitsch su nascita e famiglia, sulla morte, sulla religione (capitolo intitolato col nome francese del bigottismo e dei suoi ammennicoli: la bondieuserie), nel turismo, nella pubblicità, nel cinema, nel porno...
fumetto tratto dalla storia della monaca di monza
Con poche lacune (per esempio, la tv) pare un catalogo della comunicazione corrente. A parte qualche aristocratico del gusto, chi oggi si porrebbe il problema del Kitsch? Si vuole evitare il cheap o il trash (e mica sempre), ma quella categoria che Dorfles considerava animata dal patetico movente del "vorrei ma non posso" sembra oggi travolta dalla valanga di comportamenti che configurano un "potrei anche, forse, o no: ma è che non voglio". […]
Dorfles […] Nel 2012, ormai centenario, scrisse un testo per il catalogo di una mostra della Triennale che intendeva rileggere il concetto di Kitsch alla luce dell'arte contemporanea: e allora non poté che dichiarare decaduta ogni gerarchia del gusto. Eppure. Il cattivo pensiero del Kitsch continua a tormentarci e a dimostrarlo è stato un ingente numero della rivista Riga (editore Quodlibet), curato nel 2020 da Marco Belpoliti e Gianfranco Marrone, con il proposito di interrogarsi di nuovo sul Kitsch. In particolare su quale valore possa avere ancora quella veneranda etichetta di fronte alla «volgarità, la contraffazione, il sentimentalismo, l'autoritarismo, il dilettantismo» che ne sono elementi costitutivi e che ritroviamo tanto pervasivi nella nostra contemporaneità.
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