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Carlos Passerini per il Corriere della Sera
Per capire il senso di Shakespeare, «l' amletico Craig» come l' hanno ribattezzato in questi giorni in Inghilterra, l' uomo che a fine febbraio ha sostituito Ranieri e che dal suo arrivo sulla panca del Leicester ha vinto quattro volte su quattro, cinque con il ritorno degli ottavi di Champions, si può provare a partire da Malaga.
Lì oggi gioca Luis Hernandez, modesto stopper sui trent' anni che stava al Leicester fino a gennaio: qualche giorno fa, a una domanda sulla questione rivoltagli dai cronisti spagnoli, ha risposto che l' esonero non l' aveva stupito «perché alla fine tutti noi dopo essere diventati campioni sapevamo che non potevamo competere di nuovo», lasciando in sostanza intendere come a un certo punto tutta la squadra - e non solo quindi la famigerata fronda inglese - fosse convintamente compatta nella richiesta di un cambio della guida tecnica.
Come se la figura di Claudio, essendo essa stessa l' immagine di un' impresa magnifica ma irripetibile, andasse fatalmente sacrificata in nome di un obiettivo nuovo ma diverso come la salvezza. La profonda svolta impressa da Shakespeare, ex «centrocampista creativo» nato a Birmingham 53 anni fa, dimostra che, piaccia o non piaccia, quella avvallata dalla proprietà thailandese è stata una decisione efficace. Quindi giusta.
Sul campo in realtà non è cambiato granché, il modulo oscilla fra 4-4-2 e 4-2-3-1, l' idea di base era e resta ancora un cauto mix fra cura difensiva e ripartenze immediate, l' unica vera novità è il giapponese Okazaki ora titolare fisso accanto a Vardy. È la quotidianità dello spogliatoio a essere cambiata in maniera evidente, sostengono in molti. Col venir meno dei risultati, la signorile eleganza di Ranieri non veniva più percepita come tale ma come una specie di distaccata supponenza: da qui la frattura e la richiesta di un nuovo corso.
Anche se Shakespeare non perde occasione per ringraziare il suo predecessore, «qui non dimenticheremo mai cosa ha fatto» ha ripetuto anche dopo il 2-0 di sabato allo Stoke, i suoi metodi di approccio sono diametralmente opposti: meno formalismi e più complicità, più spirito da spogliatoio, nel solco di quella tradizione anglosassone del manager rude ma amico dei calciatori. Più collega che capo, un po' come il suo modello Nigel Pearson, il tecnico che nel 2008 l' aveva fatto ingaggiare dal Leicester come vice.
Dopo una carriera da eterno comprimario, sia da calciatore sia in panchina, oggi si sta prendendo la sua vendetta: un mese fa in molti si chiedevano se fosse in grado di fare l' allenatore, oggi è entrato nel ristrettissimo club di chi è riuscito a vincere le prime quattro partite consecutive in Premier. Gli altri sono Guardiola, Mourinho, Hiddink e Ancelotti. «Quando l' ho saputo - ha detto - mi sono dato un pizzicotto, pensavo fosse un sogno». Una tragedia col lieto fine, cose che solo a Leicester.
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