Abby Haglage per “Daily Beast”
VIDEO “THIS IS WHAT WE DIE FOR”
«C’è molta polvere, prendiamo facilmente il raffreddore e ci feriamo dappertutto». E’ solo una delle frasi dette da un quindicenne della Repubblica Democratica del Congo, inclusa nel nuovo rapporto di Amnesty International. Il documento rivela la terribile situazione dei 40.000 bambini ridotti in schiavitù nelle miniere africane. Per due dollari al giorno cercano cobalto, litio e minerali utili a costruire le batterie dei nostri smartphone. Da loro comprano
nei tunnel africani del cobalto
Apple, Sony, e altre 14 aziende.
La Repubblica Democratica del Congo è uno dei paesi più poveri al mondo, ma è ricco di cobalto. I minatori finiscono qui perché non c’è altro lavoro, i bambini non possono permettersi di andare a scuola. Chi va a scuola, aiuta i genitori in miniera nel fine settimana.
la filiera del cobalto
Le miniere artigianali dove vengono arruolati, sono indipendenti, non autorizzate, senza regole ed estremamente pericolose. Gli operai non hanno in dotazione tute protettive, lavorano nei tunnel sotterranei al caldo ma senza impianto di ventilazione. Amnesty ha scoperto bambini di 7 anni che portavano pesantissimi sacchi in spalla, molti di loro avevano problemi respiratori, dolori ai polmoni e alla schiena.
bimbi minatori congolesi bimbi nelle miniere di cobalto
Vengono picchiati se non lavorano abbastanza velocemente. L’esposizione al cobalto può essere fatale ma loro non hanno mascherine, né guanti a disposizione. Molti muoiono in miniera, non si conosce la cifra esatta. Si sa che avvengono circa cinque o sei incidenti al mese in miniera: i tunnel collassano e sotto restano almeno una dozzina di persone, i corpi non verranno mai recuperati.
bimbi africani in miniera bimbi al lavoro nelle miniere di cobalto
Il cobalto va a finire alla “Congo Dongfang Mining International”, sussidiaria della cinese
“Huayou Cobalt”, che fornisce batterie alle grandi aziende tecnologiche tipo Apple, Sony, Samsung e Dell. Sono 16 le aziende implicate: una ha ammesso la connessione, quattro non sapevano dare risposte, cinque hanno negato il legame con la Huayou (ma i documenti le smentiscono), sei hanno promesso che indagheranno sulla questione. Milioni di persone si godono le nuove tecnologie a spese dei bambini africani.
E’ ora che i grandi marchi si prendano delle responsabilità. Le multinazionali vietano il lavoro minorile ma poi non controllano le condizioni in cui lavorano i fornitori. E’ un paradosso dell’era digitale: le aziende ricche e innovatrici mettono sul mercato dispositivi incredibilmente sofisticati ma nessuno chiede loro di mostrare la fonte dei componenti. Se è stato possibile per Amnesty rintracciare la filiera del cobalto, sarà possibile anche per Sony, Samsung, Microsoft e Volkswagen (che usa le batterie per le macchine Smart).