IL PM NINO DI MATTEO
Riccardo Arena per “la Stampa”
È cupo e solo, circondato dai ragazzi della scorta che lo proteggono come fosse un Capo di Stato, perché Nino Di Matteo non è stato "soltanto" minacciato da Totò Riina in persona, che aveva fatto intendere che contro di lui c' era un piano di morte, ma sarebbe anche esplicito obiettivo di un progetto di attentato che, ha rimarcato in udienza il pentito Vito Galatolo, davanti allo stesso magistrato, martedì mattina, «non è mai stato revocato».
Il tritolo a lui destinato non si trova, l' allarme è sempre alto ma non è solo per questo che Di Matteo vuole andare via da Palermo: legittime aspettative di carriera si uniscono alle esigenze di sicurezza, anche se lui aveva detto di no a un trasferimento che gli era stato offerto dal Csm in base a norme eccezionali, mai o quasi mai applicate e che sarebbero dovute servire per salvargli la vita. Aveva però chiesto, senza rivendicare scorciatoie, un posto alla Direzione nazionale antimafia.
Nino Di Matteo
Solo che la sua domanda per andare a Roma, a causa di un cavillo o di una puntigliosa applicazione di regole che in magistratura cambiano di continuo, si è fermata prima di partire. E a questo punto il pm se l' è presa non poco.
Con i cronisti non parla. Però con i colleghi a lui più vicini, e che sono sempre di meno, si è sfogato. «Non ho paura - ha confidato - anche se la mia famiglia da tre anni non vive in maniera serena. Ma qui c' è da considerare che ci sono rischi di cui non parlo io. Non mi piace questa situazione, vivrei molto più liberamente senza queste protezioni che mi vengono imposte e per le quali sono grato a chi le ha previste e ai ragazzi della scorta.
Toto Riina
Ho rifiutato il trasferimento eccezionale perché non volevo che sembrasse che io volessi fuggire. Ma ogni volta che chiedo di andare via trovo solo ostacoli. Cosa devo pensare?».
Il foglio mancante
L' istanza di Di Matteo si è impantanata al Consiglio giudiziario, che non si è pronunciato sulla domanda che il pm aveva avanzato per occupare il posto di procuratore aggiunto alla Dna: in sostanza, prima di avanzare la propria candidatura, il magistrato avrebbe dovuto chiedere allo stesso mini-Csm locale il «parere sulle attitudini e sul merito».
Un equivoco, forse, perché lui riteneva di avere già quella pronuncia, ampiamente positiva e ottenuta nell' ambito di un altro concorso, quello per il posto di procuratore di Enna. Non è la stessa cosa, gli hanno risposto: Enna è un «ufficio di piccole e medie dimensioni», il posto di procuratore aggiunto alla Dna riguarda invece un «ufficio classificato come specializzato».
intervento di giovanni legnini
E dunque un altro impedimento, l'ennesimo, sulla strada verso quell' incarico alla Superprocura, per il quale il pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, nell' aprile scorso, era già stato battuto da altri tre candidati, ritenuti più titolati di lui.
Il giorno stesso in cui c' era stata la bocciatura al plenum, il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, aveva parlato di un concorso che sarebbe stato bandito subito e, grazie a qualche allusiva acrobazia dialettica, le sue parole erano state interpretate nel senso che Di Matteo avrebbe potuto riproporre la domanda.
Quando però il pm aveva fatto ricorso, Palazzo dei Marescialli si era costituito in giudizio al Tar del Lazio. Che ancora, per inciso, non ha fissato l' udienza. Tutto legittimo, tutto formalmente a posto, ammette lo stesso Di Matteo con i colleghi, prima di andare in udienza al giudice monocratico o di affrontare gli spinosi casi del Tas, la trattazione affari semplici.
IL PM NINO DI MATTEO