Leonardo Martinelli per “La Stampa”
vittorio gassman fanny ardant 19
Appuntamento sulla panchina davanti alla Sorbona. Solo una delle ultime dive del cinema francese può fissare un'intervista con una mail del genere. Solo Fanny Ardant. La mattina è di una primavera che ti fa voglia di ritornare alla vita. E l'attrice, 72 anni, è puntuale, in quel giardino pubblico nel cuore di Parigi.
Combattiva, serena, cerebrale: l'anno della pandemia non l'ha scalfita.
«Con il primo confinamento, ho ricominciato a suonare il pianoforte. Io non suono molto bene. Mi piace Bach, perché la sua musica è strutturata: anche se gli fai del male, resta intatta».
Non si è rifugiata in una villa del Sud o in Normandia? Come tanti vip a Parigi
«No, io sono una bolscevica pura e dura, non ho proprietà alla campagna».
A parte suonare Bach, cos' ha fatto nell'ultimo anno?
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«Ho lavorato molto, su spettacoli teatrali, che sono stati annullati. Ma ho girato dei film.
In questi giorni di riapertura delle sale a Parigi, ecco DNA, diretto e interpretato dalla giovane Maiwenn, in Italia su Sky Cinema dal 1 giugno. Com' è andata?
«Era la prima volta che interpretavo un ruolo in cui tutto era improvvisato. E io non lo sopporto Maiwenn ha insistito, perché accettassi. Alla fine ho ceduto, ma le ho detto: a tuo rischio e pericolo.
Lei, durante le riprese, aveva una forma di follia che ammiravo. Una determinazione, una violenza Ha un rapporto quasi di odio con la mamma e io nel film ero sua madre. A me non fa paura la violenza ed ero sorpresa dalle mie reazioni. Certe volte avevo voglia di darle un ceffone. E una volta gliene ho dato uno incredibile. Al montaggio l'ha tagliato».
Ha girato anche I giovani amanti di Carine Tardieu
«Sono una donna che s' innamora di un uomo molto più giovane di lei. Il mio personaggio è un architetto e un'intellettuale, non una tardona qualsiasi. È una passione reciproca e paritetica. Ma quello resta uno degli ultimi tabù della nostra società: tutti pensano che lo stai fuorviando da un'esistenza normale.
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È stato bello recitare in quel film: non c'è niente di più interessante nella vita dell'amore. Aspettarlo, perderlo, conquistarlo, coltivarlo».
C'era qualcosa di personale nel ruolo?
«No, non mi piace interpretare personaggi vicino a me. I ruoli possono risuonare dentro di me, ma non mi somigliano mai. In un film di Alain Resnais (L'amour à mort, 1984) feci addirittura una donna pastore protestante: calma, altruista. »
Non è altruista?
«Per nulla (scoppia a ridere)».
Ha avuto successo a trent' anni, relativamente tardi
«Facevo teatro, ma senza successo. E per sopravvivere dovevo fare tanti lavoretti: la segretaria, la cameriera Provavo un'oscura gioia a recitare in una sala mezza vuota. Pensavo che quei pochi spettatori fossero lì, perché mi amavano. E li avrei amati anch' io, allo stesso modo».
Poi Truffaut la vide
«Mi offrì il ruolo di Mathilde in La signora della porta accanto (1981), con Gérard Depardieu».
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Con Truffaut costituì anche una coppia fino alla sua morte, nel 1984, di un tumore scoperto pochi mesi prima, mentre lei aspettava sua figlia Joséphine. Che ricordi ha di lui?
«Con Dépardieu s' intendevano a meraviglia, erano due banditi. Mai si sarebbe detto di Truffaut che fosse un bandito, ma ne aveva l'anima. Era libero, nervoso. Sembrava volersi sbarazzare di qualcosa, anche con molto umorismo. Ma al tempo stesso si buttava giù, soffriva di melanconia».
In quegli Anni 80 conobbe Vittorio Gassman. Recitaste insieme, pure in due film di Ettore Scola, La famiglia e La cena. Di lui che ricordo ha?
«Diventammo subito amici. Vittorio suscitava nei francesi, soprattutto le donne, un'ammirazione folle, perché era bello, come una statua romana. E per l'insolenza, l'arroganza, oltre la fragilità e l'intelligenza. Quando recitavo a teatro a Parigi, veniva a vedermi.
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Cenavamo insieme dopo lo spettacolo. E d'un tratto, quasi alla fine, diceva: parliamo di quello che ho visto stasera. E aveva visto proprio ogni cosa, sviscerava tutto, da vero uomo di teatro quale era. Vittorio fu così gentile con me al momento del mio enorme dolore per la morte di Truffaut.
Faceva lo scemo apposta per farmi ridere e, quando ha avuto i suoi problemi di depressione, sono stata presente pure io. Mi ricordo di lui a Cannes: andavo nella sua camera d'albergo a vederlo e mi diceva che era vecchio, ma io rispondevo che non era vero e lo tiravo su. Volevo ridargli tutto quello che mi aveva dato».
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Suona ancora Bach nel suo appartamento parigino?
«Sì. A proposito, ho un piccolo sogno. Mi piacerebbe suonare in un piano bar in Sicilia. Adoro quell'isola, i paesini dell'interno che sembrano vivere in autarchia. Chiederei al proprietario se mi autorizza a suonare certi brani. Ma poi lui mi dirà quello che vuole. Lo giuro, mi adeguerò»
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