Estratto dell'articolo di Renato Piva per corrieredelveneto.corriere.it
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«Sul set di Grand Hotel, mio primo fotoromanzo, c’era Claudia Rivelli. Era bellissima, allora davvero tra le top del genere. Al primo bacio in scena, le diedi un bacio vero, alla francese». E lei che fece? «Mi tirò uno schiaffone di quelli pazzeschi…». Non andò bene quella volta, altre decisamente meglio. La mano poco benevola dell’«altra» Ornella Muti, del resto, aveva centranto la guancia di un bellissimo dei primi Ottanta. Occhio chiaro per sguardi killer, corona bionda e fluente sopra tratti delicati, all’epoca in cui Discoring era Discoring, Maurizio Potocnik, in arte Reeds, era un puledro della dance italiana su cui scommettere. La scuderia – Discotto Production - era quella giusta. Quanto al ragazzo, nato a Pieve di Cadore (Belluno) e passato da Conegliano (Treviso), dire che c’era il phisique du role è dir poco. Reeds – le cronache dell’epoca confermano – era l’altro Sandy Marton: per molti persino più bello…
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Maurizio, se è così, perché Sandy Marton lo ricordano tutti mentre il ricordo di Reeds è più sbiadito?
«La differenza tra me e Sandy, Tracy Spencer e simili artisti è che i loro pezzi, in Italia, sono stati tormentoni pazzeschi. Non è stato così all’estero, però, e non per tutti. Alcuni in Sud America o in Giappone non hanno venduto nulla, mentre io e altri lì abbiamo venduto valanghe di dischi...».
Da Pieve di Cadore a Milano, via Conegliano, a vent’anni…
«In quegli anni la musica si suonava nei garage. Con mio fratello avevamo grande passione, ascoltavamo un sacco di musica, soprattutto italiana: a fine Settanta era così. Abbiamo formato vari gruppi, dal pop al dandy. Da qui la mia passione per scrivere canzoni, melodie ma anche testi. Un giorno, credo fosse l’82, mi sono iscritto a un concorso regionale per cantanti ad Asolo. La madrina era Rettore, che arrivò un po’ in ritardo. Quando mi vide, disse: “Hai partecipato anche tu? Peccato, non ti ho sentito ma ti avrei fatto vincere…”. Mi fece ricantare ma, ormai, la giuria aveva deciso per un altro. A quel punto disse: “Ti presento i miei produttori a Milano”. Era l’anno di “Lamette”, Donatella era famosissima…».
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Rettore fu il link con Milano, quindi…
«Sì. Da lì è partita la mia storia di Maurizio Potocnik, in arte Reeds».
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Con i fotoromanzi di Grand Hotel cominciano anche i flirt con tante bellissime…
«Non tutti veri. Qualcuno era montato dalla stampa…».
Giochiamo a vero-falso? Laura Antonelli?
«Vero».
Licia Colò?
«Falso, ma eravamo molto amici. Facevamo un percorso assieme in quel periodo…».
Miss Spagna ’85 Amaro Martinez Cerdan?
«Vero, vero. Amaro era anche Miss mondo di quell’anno».
Carol Bouquet?
«Vero…».
In Francia si parlò di lei e Lio, la cantante belga di Amoureux solitaires: «He toi, dis-moi que tu m'aimes…».
«Vero…».
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Tutti veri, Maurizio… Lory Del Santo?
«Mezzo vero e mezzo falso… La verità è che, all’epoca, passavano tutti dal salotto milanese di Marta Marzotto. I personaggi erano tanti. Tu eri lì, tranquillo, chiacchieravi, c’era chi faceva foto e, con quelle, qualcuno che montava le storie che voleva…».
Gli Ottanta sono gli anni gaudenti per eccellenza. Si ballava, si beveva, si faceva anche altro, non diversamente da oggi, per altro. Se parliamo di stupefacenti, anche per Reeds vale la regola: io no, ma gli altri…?
«In quegli anni girava un po’ di droga, certamente, però si prendeva in maniera molto…».
Molto?
«Molto artistica, ecco».
E Reeds? Ha peccato?
«Qualche volta…».
Rivisto ora, il primissimo Reeds era molto “ispirato” al Gazebo di Raining days. Cambia quasi subito: capelli biondi lunghi, spallone, tanti colori. Stile tra brit e elettropop e tanta immagine. Troppa, forse?
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«All’inizio, in effetti, si puntò molto sulla bellezza del mio personaggio, anche se io ho cominciato a suonare la chitarra a 13 anni e, alle spalle, avevo una mia storia pop-rock, che nel tempo è uscita. Penso di essere l’unico personaggio della dance italiana che abbia raggiunto tutto il mondo senza fare la dance degli altri. La mia dance era più culturale… Più raffinata, ecco».
Nel primo disco a lei, biondo, fecero i capelli scuri: sempre per l’effetto Gazebo?
«Noooo! Era la foto che era fatta male…».
Quanti dischi ha venduto in carriera?
«Con “In your eyes” quasi un milione. Fu fatto in due versioni: una molto pop, con sassofono, e una molto più dance. Con quel disco fui il primo a lanciare il filone della dance raffinata, un po’ alla Shade. Nello stesso periodo scrissi una canzone che la casa discografica non capì e, di lì a poco, ebbe un successo grandissimo…».
Ovvero?
«Immagination (successo mondiale dell’85, cantato dall’inglese Belouis Some, ndr). La Discotto Production non capì il pezzo e io, in quel momento, avevo bisogno di soldi. Si presentò a Milano un produttore londinese, che cercava un prodotto dance. Ascoltò il mio provino e disse: “Tra due giorni ci troviamo qui e ti do sette milioni”. All’epoca erano tanti. Gli dissi: per sette no, ma se me ne dai dieci ti cedo completamente il brano, anche con titolo Siae. Così ci ritrovammo: da una valigetta tirò fuori 10 milioni in contanti e gli cedetti Immagination…».
Discotto, forse la maggiore etichetta della dance italiana di allora, finì male...
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«Discotto è stata un’onda pazzesca in tutto il mondo. Ha venduto dischi in Giappone, Cina, in Russia, Inghilterra, Francia, Germania, Sud America. Poi ci fu un periodo di errori di gestione e commerciali. Avevano scelto me come uno degli artisti di punta - il disco era Marines – ma poco dopo finì tutto...».
A fine Ottanta arriva la musica house: si può dire che uccise Reeds, come tutti gli altri campioni della dance italiana?
«Siamo vittime della musica house, di sicuro, e anche dei dj. Tanti amici tra i dj dicevano: “La dance italiana? Non la vuole più nessuno”. Coi 130 bpm (battiti per minuto, ndr) è cambiato il mondo».
Veniamo all’oggi: Maurizio Potocnik, oltre che di musica, si occupa di critica gastronomica. Come ci arriva?
«Mi sono diplomato alla scuola enologica di Conegliano nel ’79. Conosco e conoscevo il vino. Cantando in giro e avendo diverse “morose” in varie città, ho cominciato a segnare in un’agendina il nome di un ristorante in cui andare a mangiare con l’una e con l’altra. Segnavo il piatto da ordinare – una volta i menù erano più stabili di adesso – e il vino da ordinare. Così ho segnato più di 180 ristoranti tra Italia ed Europa. A Parigi sapevo che potevo andare nel tal posto, mangiare il tal piatto, bere il tal vino e spendere tot. Così è nato il mio primo progetto editoriale: I migliori ristoranti della provincia di Treviso, nel ‘94. Ho comunque fatto, nel tempo, corsi di sommelier e di assaggiatore di formaggi, di salumi, di oli… E ho addirittura vinto il "Miglior libro al Mondo” nel 2016».
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