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Massimiliano Nerozzi per il Corriere della Sera
Gigi Buffon arriva (quasi) nudo alla meta, che è poi questo 3-0 alla Samp, la notte di Madrid, quelle che ancora lo aspettano e la fine di una carriera leggendaria. Tira i guantoni alla sua curva, allunga i pantaloncini a un bambino in tribuna, e si dispiace, di non poter dare la maglia al ragazzino ungherese che fa invasione di campo solitaria, e che la security blocca a pochi metri da lui: il numero uno allarga le braccia e fa un cenno con le mani, come dire, «dopo te la faccio avere».
In fondo, è sempre una questione di striptease: qui lo fa levandosi la divisa, al Bernabeu aveva messo a nudo l' anima. Ecce Homo, per tutta l' Allianz Arena, che già dal riscaldamento lo accoglie come fosse reduce da un trionfo e non da una tragedia. Basta il primo striscione, ancor prima di iniziare: «SuperGigi non si discute, si ama».
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Da Nietzsche e dintorni: quel che non ti uccide, ti rende più forte. Non serve, ma stavolta Buffon cambia pure il finale, se al minuto 92, quello del dramma madrileno, fa una paratona su Zapata. Che è come mettere un gettone nel juke box ultrà: «Chi non salta è madrileno», canta la curva Sud e Gigione applaude. Buffon, che ribadisce la logica del suo sfogo ma ne cambierebbe le parole, in fin dei conti è la passione che prende il sopravvento sulla forma, e se ne infischia del bon ton.
Para come un Dio e s' incavola come un tifoso: per questo le tribù lo adorano. Altra dedica al capitano, su poster prêt-à-porter : «La tua maglia dice chi sei». Prima che vengano issati gli striscioni per tutta la squadra: «Orgogliosi di voi. Grazie ragazzi: avanti a testa alta».
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E quando il numero uno va ad accomodarsi dalla parte (e dalla porta) opposta, sotto la Nord, un tifoso gli alza un cartellone: c' è Superman, rubato alla locandina del film, ma con la faccia di Buffon. A venti minuti dall' inizio, i tifosi lo chiamano ancora, e lui alza il pollicione e ringrazia. Il tempo di iniziare e gli ultrà chiamano la standing ovation: «Tutti in piedi per i ragazzi».
Il resto dell' Arena segue, con venti secondi di applausi.
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Poi, tocca al capitano, con un coro che unisce lo stadio. Qui dentro, tra questi fedeli, non c' è nulla da farsi perdonare: Buffon è solo un uomo, non solo un atleta, che s' è ribellato al destino di non potersi giocare l' ultima chance in Champions. «Ancora mi girano le scatole», diceva ancora ieri Allegri, uno che l' aveva presa con filosofia. Figurarsi Buffon, cui i primi 40 anni coincidono con la scadenza delle opportunità. Tutto il resto, le parole grosse e i toni, per i tifosi sono solo letteratura.
La Juve, e Buffon, reagirono alla grande anche dopo l' eliminazione ai supplementari con il Bayern, nel 2016, altro choc: 4-1 nel derby e record di imbattibilità della A. Appena è finita, Buffon abbraccia tutti: Viviano, il preparatore dei portieri della Samp Turci e Kownacki, che non aveva mai visto. Ogni partita è un lungo addio, di quelli che scriverebbe Albert Camus, il portiere più esistenzialista della storia.
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Forse ha ragione la canzone che suona a stadio vuoto, Sign of The Times: «Just stop your crying, It' s a sign of the times.
Welcome to the final show».
Smetti di piangere, è un segno del tempo. Benvenuti allo show finale.
2. VAZQUEZ
Si sente perseguitato, Lucas Vazquez. L'attaccante spagnolo ha parlato - dopo la vittoria di Malaga - del controverso fallo da rigore concesso al 93' di Real Madrid-Juventus per l'intervento di Benatia. Vazquez, la cui caduta ha indotto l'arbitro inglese Miller a fischiare il rigore per la squadra di Zidane, ha però sbottato per le tante polemiche che sono sorte anche in Spagna:
REAL MADRID JUVENTUS - IL FACCIA A FACCIA TRA BUFFON E L ARBITRO
"Era rigore, punto e basta. Si sta parlando di una cosa che è finita da tempo, ma la verità è che abbiamo raggiunto le semifinali di Champions per l'ottava volta consecutiva e questo a qualcuno dà fastidio, crea invidia. Tante persone sono felici dei nostri mali. Qui in Spagna si parla del rigore più che in Italia".
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