Laura Anello per ''La Stampa''
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Per raccontare questa storia ci vorrebbe un titolo alla Lina Wertmüller: terrapiattisti perduti nell' azzurro mare di aprile. Perché questa è l' epopea di una coppia di veneziani - un uomo e una donna di mezza età - convinti che il globo somigli a un vecchio disco di vinile, e partiti in pieno lockdown alla volta della Sicilia per averne definitiva contezza.
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Sembra uno scherzo, e invece è tutto vero, raccontato dalla viva voce di Salvatore Zichichi, il medico dell' Ufficio di sanità marittima del ministero della Salute che si è trovato a gestire la vicenda dal suo presidio di Palermo che di solito si occupa di migranti, mentre i due terrapiattisti sbagliavano rotta, rischiavano il naufragio, tentavano la fuga dal periodo di quarantena, e finalmente lasciavano la Sicilia con gran sollievo delle autorità marittime e sanitarie.
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Zichichi è persona alquanto simpatica e, a distanza di tre mesi, racconta la cosa con ironia. «I due - spiega - sono partiti dal Veneto durante il lockdown diretti a Lampedusa, violando tutte le restrizioni. A Termini Imerese, vicino a Palermo, hanno venduto la loro macchina e hanno comprato una barchetta, decisi a puntare verso l' isola».
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Per loro probabilmente Lampedusa era la finis terrae, come dicevano i latini, cioè il confine del mondo (piatto), delimitato da montagne di ghiaccio color smeraldo alte quattrocento chilometri sorvegliate da guardiani millenari, secondo la "dottrina" espressa l' anno scorso da alcuni alfieri di questa credenza a una convention organizzata proprio a Palermo. Impresa non facile, per la bagnarola su cui navigavano: Lampedusa com' è noto è tra la Sicilia e l' Africa, mentre Termini Imerese è sulla costa settentrionale, quindi avrebbero dovuto fare una circumnavigazione, arrivare sulla costa meridionale e poi affrontare in senso contrario quella traversata verso Sud su cui navigano - e muoiono - i barconi dei disperati. «La cosa divertente - chiosa Zichichi - è che si orientavano con una bussola, strumento che funziona sulla base del magnetismo terrestre, principio che loro, da terrapiattisti, dovrebbero rifiutare».
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Forse perché la bussola si è ribellata o perché la barchetta non ce l' ha fatta, il loro sogno si è infranto molto presto. Perché i due sono approdati - novelli Cristofori Colombo - nell' isola di Ustica, di fronte a Palermo, stremati e assetati.
E anziché incontrare gli occhi dei guardiani millenari, hanno visto quelli sgomenti del sindaco Aldo Messina, dei carabinieri e della guardia costiera. In tempi di lockdown, poco meno di un' invasione aliena. Complicata dal fatto che i due erano anche convinti dell' estrema pericolosità degli impianti di telefonia e di ogni singolo cellulare. «Attenti a voi, liberatevi del telefono o state lontani!», gridano a chiunque si avvicinasse loro.
Pazzi? Non ai sensi di legge. Terrapiattisti.
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Capitanerie, uffici marittimi, autorità sanitarie si consultano febbrilmente per capire cosa fare. «Gestiamola a Palermo», si decide. Così la barchetta viene scortata nel capoluogo e ai due navigatori viene imposta la quarantena precauzionale per quindici giorni nel loro scafo. Finché una mattina tentano la fuga: «Comandante, i terrapiattisti sono scappati», grida Zichichi esasperato al capo della Capitaneria di Porto. E quello, da vecchio uomo di mare, risponde serafico indicando la loro posizione sul monitor. «Stia tranquillo, fra tre ore sono ancora lì».
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Perché la barchetta annaspa nelle onde e naviga alla velocità di una tartaruga. Passa qualche ora e li vanno a riprendere, una scena da cartone animato, se non fossero i tempi in cui l' Italia contava i morti. Non è finita. «Pochi giorni dopo - racconta ancora Zichichi - tentano di nuovo la fuga, finiscono in casa di un mitomane che sosteneva di essere positivo al Covid e invece per fortuna non lo era». Nuova quarantena, controllati quasi a vista. Finché, quando il Paese allenta finalmente la stretta contro l' epidemia, anche loro hanno ripreso la via di casa, lasciando la barchetta in porto. «Bye bye, e a mai più rivederci», li hanno salutati tutti in un coro immaginario.