(ANSA) La federcalcio spagnola si aspetta a breve le dimissioni del ct Luis Enrique. Lo riferiscono alcuni media locali, come 'Marca', citando fonti della federazione stessa che avrebbero sottolineato che "siamo allo stesso punto del 2018". Il riferimento è all'eliminazione anche in quel caso agli ottavi di finale, quando la Spagna venne battuta anche in quel caso ai rigori, dalla nazionale di casa. "Da quei giorni a oggi - si legge ancora - alla fine non ci sono stati miglioramenti, e ci ritroviamo allo stesso punto". Così "la fiducia in Luis Enrique non è più la stessa".
TIKI TAKA
Leonardo Iannacci per “Libero quotidiano”
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Tiki-taka adios. Nella notte di Doha va in scena un funerale sportivo, l'addio forse definitivo a un'idea, il saluto a qualcosa che è stato ma non sembra essere più. Colpa del fenomenale Marocco che ha messo a segno l'impresa delle imprese e ha dato una robusta spallata, facendola cadere in un burrone ideologico, a quella che era considerata sino a ieri una sorta di filosofia calcistica subliminale. Una magia che magia non è più.
Un'impresa, quella degli africani, che segna il brusco ridimensionamento del famigerato calcio tiki-taka, la tattica che ha segnato un'epoca, continua a imperare in Spagna dove le scuole calcio vivono seguendo questa filosofia tattica, ma che dovrà ora fare i conti con questa incredibile eliminazione della nazionale di quel paese, campione del mondo 2010, bi-campione europeo nel 2008 e 2012, e poi persa nei meandri di un calcio che fatica a rivincere. Un ko simile a quella che subì la nazionale italiana contro le due Coree: nel 1966 sconfitta da quella del Nord e nel 2002 umiliata da quella del Sud.
Sconfitte che fanno male e chiudono, chissà, un'epoca.
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SCHIAFFO EMOTIVO Questo schiaffo emotivo, difatti, scuote non soltanto la nazionale delle Furie Rosse ma scolorisce un'idea di calcio, fiorita anni fa a Barcellona. In un giorno preciso, in una conferenza stampa diventata negli anni storica.
Quel giorno il calcio cambiò, inesorabilmente. In meglio, secondo gli ammiratori di Pep Guardiola, lo stregone del tiki-taka. O in peggio, secondo i suoi detrattori. Nulla, da allora, è stato più come prima in Spagna e anche altrove.
Alla domanda su chi schierasse al centro dell'attacco, davanti a una platea di giornalisti, quel giorno il Pep rispose, stupendo tutti: nessuno, il centravanti del mio Barca è lo spazio.
E calcio tiki-taka fu. Un calcio pieno zeppo di passaggi e passeggini, di imbucate, lesto a dividere le folle: chi lo ha subito amato ha provato maldestramente ad imitarlo, chi lo ha odiato si è rifugiato in un football più asciutto e tradizionale. Lontano da tocchetti laterali, inserimenti in quello spazio vuoto, passaggetti inutili. Il Barcellona (di Messi, Xavi e Iniesta) nel frattempo vinceva, vestendo i panni della squadra-Cannibale. E tutti a lodare, ammirati, il tiki-taka.
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Mondiali, europei e molte coppe dopo, il discepolo di Guardiola che siede sulla panchina delle Furie Rosse - ovvio Luis Enrique - ha scimmiottato, in Qatar, quel gioco. Ma ha servito in tavola soltanto una versione per così dire "generica" del tiki-taka del grande Barcellona. E non per colpa dei ventenni che ha schierato: Gavi, Ferran Torres e Pedri. Il risultato finale è sintetizzabile nei numeri: un 7-0 scolastico contro il Costarica aveva illuso. Un 1-1 risicato contro la Germania aveva ridimensionato la scorpacciata. Infine, un pessimo 1-2 contro il Giappone aveva sollevato dubbi. Prologo del dolorosissimo ko negli ottavi di finale contro i valorosi marocchini. Il tiki-taka è morto? Diciamo che non sta benissimo. E aggiungiamo che dei passeggini laterali, degli scambi mortiferi e lenti visti in Qatar, non sentiremo certo la mancanza.
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