Paolo Landi per Dagospia
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Torna FMR - La rivista più bella del mondo e riaffiora alla mente quell'impallinatura senza appello che Bernardino Zapponi (dimenticato - purtroppo - sceneggiatore di Fellini, Monicelli, Dario Argento ecc) le riservò sull'Espresso: "Franco Maria Ricci riesce a rendere chic anche il Caravaggio". Dieci parole per dire, anche a chi non aveva letto Hermann Broch o Susan Sontag, il kitsch che ammorbava quella pubblicazione, fin dagli inizi.
Prima c'erano stati I Maestri del Colore, insuperata collana di Dino Fabbri, sulla quale si sono formati gli studenti delle medie e dei licei di tutta Italia. Poi arrivò FMR e chiamò a raccolta i dentisti, i geometri, i commercialisti: tutta quella piccola borghesia avida di "bello" che il bello lo voleva servito sul tavolo del tinello, al mattino, con il caffè.
Oppure lo lasciava a vista, per essere sfogliato, in sala d'attesa. Le riviste fanno come le case, quando il sottotitolo le identifica come "le più belle del mondo": diventano subito imbarazzanti, agli occhi almeno di chi subito si insospettisce di quei modi assertivi di definirle.
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Perché non bastano il nero, il Bodoni, la carta patinata. Anzi, più che non bastare, sono in eccesso e mentre l'estetica contemporanea fa il vuoto nei salotti delle persone colte, riempiti più che altro di libri, con magari solo un'opera d'arte appoggiata per terra, sono le classi meno abbienti che non si accontentano mai e scambiano la qualità con l'esagerazione.
Nelle case dei veri ricchi l'infilata di copertine gialle del National Geographic, in quelle degli "affluenti" quelle nere dell'abbonamento a FMR. E' il paradosso della cultura, quando sotto questa parola si spacciano le mostre riassuntive di tre secoli, i romanzi che salvano le vite di chi li legge e i soprammobili. Lo chic è l'epitome del dandy Franco Maria Ricci, che ha stilizzato la sua biografia all'insegna della riproduzione o dell'imitazione, e non c'è niente di più esiziale che essere nati in provincia, per irrigidirsi in un cliché. Eppure costruì un sodalizio con Borges, riuscendo - direbbe Zapponi - a rendere chic anche lui. E pubblicò una collana di libri, La biblioteca blu, di cui ricordo almeno un titolo, perché riassumeva in modo impareggiabile tutto quel mondo "ephémère" ("effe emme erre"): Terrore piccolo borghese di Anna Maria Guerrieri (1973).
fmr mensile di franco maria ricci
Non c'è nulla di male nel diffondere cultura per le masse ma bisogna stare attenti, direbbe Broch, a scambiare l'imperativo etico "Fai un buon lavoro" con quello estetico "Fai un bel lavoro": perché quest'ultimo è il terreno scivoloso percorso pericolosamente da coloro che cercano il senso della vita nella perfezione dell'arte (o nello splendore della natura). Insomma nella bellezza che manda in estasi, quella dove i princìpi di valore non possono che essere assoluti. Susan Sontag lo avrebbe stigmatizzato come un make up che invece di mostrare il vero volto dell'arte, lo imbelletta, per renderlo fruibile da un pubblico largo e di bocca buona. Roland Barthes sarebbe stato più crudele: nell'epigrafe scelta per il suo Piacere del testo dice "L'unica passione della mia vita è stata la paura", paura di essere afferrato e frainteso da una sommaria e facile cucina ideologica, paura di essere cristallizzato in una immagine stereotipata e sterile.
franco maria ricci
Nessuna paura invece nell'Editore-Esteta nel riprodurre il bello: Caravaggio o Tamara de Lempicka, per FMR sono pari, se contribuiscono ad elevare lo spirito degli abbonati, cercati nei database degli ordini professionali. Lunedi scorso la nuova FMR è stata presentata a Brera, a Milano, dal Direttore di quella prestigiosa Accademia, James Bradburne, perpetuando l'equivoco.
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