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    “TROISI? ERO GELOSO, ALLE SUE BATTUTE TUTTI RIDEVANO. LA CUCINOTTA? NON SAPEVA PROPRIO RECITARE” - IL REGISTA DEL “POSTINO”, MICHAEL RADFORD, RACCONTA GLI ULTIMI ISTANTI DI VITA DELL’ATTORE: “È MORTO IL GIORNO DOPO LA FINE DELLE RIPRESE, IL CUORE STAVA CEDENDO MA LUI VOLEVA CONTINUARE. ERA INCREDIBILE. APPENA APRIVA BOCCA TUTTI RIDEVANO. IO ERO UN PO' GELOSO DI QUESTO PERCHÉ…” - VIDEO


     
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    Laura Rio per “il Giornale”

     

    troisi il postino troisi il postino

    «Quando sono arrivato era lì disteso, ho afferrato le sue grandi orecchie e gli ho promesso stai tranquillo che il film sfonderà. E, ne sono certo, lui mi ha capito». Massimo Troisi era morto il giorno dopo la fine delle riprese: il 4 giugno 1994. Non poteva che iniziare dal ricordo degli ultimi istanti di vita del grande attore, l'incontro con Michael Radford, il regista del Postino arrivato da Londra a Catanzaro per partecipare al Magna Graecia Film Festival che si è tenuto nei giorni scorsi sulla costa ionica.

     

    Il maestro non era mai stato in Calabria, nonostante i lunghi anni trascorsi in Italia, a Roma, in Toscana e nelle isole Eolie per riuscire a portare a compimento il film che richiese una lunga gestazione a causa della malattia di Troisi. Anzi ormai si considera metà italiano visto che parla perfettamente la nostra lingua.

     

    troisi noiret troisi noiret

    E così ricorda quella mattina a Roma dove si stava ultimando il film (girato a Salina): la sveglia con la notizia della morte dell'attore, la corsa all'Infernetto, l'incontro con Roberto Benigni in lacrime. «Anche io mi sono messo a piangere insieme a tutto il mondo». Tra lui e Massimo era nata una grande amicizia. Ed era una sofferenza vederlo affaticarsi sul set.

     

    «Mi impressionava il suo coraggio. Il suo cuore stava cedendo - racconta ancora il regista - l'operazione negli Stati Uniti era andata male, ma lui rifiutava di fare altri interventi perché voleva portare avanti il film a tutti i costi. Perciò doveva riposare molte ore. Diceva solo alcune battute al giorno e gli facevo tanti primi piani da usare poi nel montaggio». E così per tutte le altre scene era stata chiamata una controfigura, Gerardo Ferrara, di Sapri, che gli assomigliava moltissimo.

    MICHAEL RADFORD MICHAEL RADFORD

     

    Però, nonostante la sofferenza, l'attore non smetteva di sorridere e far sorridere.

    «Era incredibile. Appena apriva bocca tutti ridevano. Io ero un po' geloso di questo perché alla mie battute non rideva nessuno. Un giorno allora vidi un signore con un cappello che sembrava un australiano, lo fermai e rise delle mie battute, che da anglosassone capiva. Lo ringraziai».

     

    Michael aveva conosciuto Massimo una decina di anni prima del Postino. «Gli chiesi di partecipare al mio primo film Another Time, Another Place (1983): mi servivano tre attori italiani, di cui un napoletano. Ma lui mi rispose No, grazie, in Scozia non vengo perché fa troppo freddo. Mi disse: «Vieni a girarlo a Napoli» e io risposi: No, grazie fa troppo caldo».

     

    Alla fine, dopo tanti anni, mi chiamò lui per affidarmi la regia del Postino. «Andammo a Los Angeles per trovare un po' di tranquillità per scrivere la sceneggiatura, nella speranza che nessuno lo conoscesse, ma lì appena entravamo in un ristorante tutti lo chiamavano e lo volevano salutare».

    CUCINOTTA TROISI CUCINOTTA TROISI

     

    Quel film ha anche fatto nascere la stella di Maria Grazia Cucinotta. «Quando la vidi - ricorda il maestro - aveva fatto solo una pellicola sexy, di quelle in cui ci sono uomini e donne nudi sulla spiaggia.

     

    Era molto bella, con un gran sorriso, intelligente e sensibile, ma non sapeva assolutamente recitare. Le dissi Guarda, Maria Grazia, tu non fare proprio nulla. Quando te lo dico, mostra il sorriso più intenso del mondo. E quel sorriso sorprese tutti agli Oscar (in cui vinse per la miglior colonna sonora)». Tra due anni ricorrerà il trentennale del Postino e, nel contempo, della scomparsa di Troisi. «Mi piacerebbe che per l'occasione tornasse nei cinema e poi se qualche produttore si facesse avanti potremmo pensare a qualcosa».

    MICHAEL RADFORD MICHAEL RADFORD

     

    Un altro grande film di Radford, 1984, tra due anni festeggerà i 40 anni, ma non dimostra per nulla l'età. La dittatura dei social network va oltre ogni immaginazione di Orwell dal cui libro il regista ha preso ispirazione per la pellicola. «Vero - riflette -. Tutto accade proprio come aveva immaginato Orwell. Io, che ero appena uscito dall'accademia di cinema, proposi quel titolo perché non mi spiegavo come mai nessuno l'aveva ancora fatto. E quando vidi, in giro per Londra, i ragazzi con i capelli tagliati come nelle scene del film capii che aveva sfondato, che era stato capito».

     

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    E, il pensiero corre al Grande Fratello di oggi, al dittatore che tiene sotto scacco un'immensa nazione come la Russia. «Con mia grande sorpresa - gli sovvengono altri ricordi - quando andai in Russia per presentare 1984, chiamato da un gruppo di intellettuali e giornalisti, il film fu applaudito dalla Duma. Ora non potrebbe accadere. Però non mi potei portare Richard Burton perché a quel tempo beveva troppo, ma anche John Hurt fece la sua figuraccia finendo sbronzo con la faccia nel piatto».

     

    Michael, all'età di 76 anni, regista anche de Il mercante di Venezia, non ha proprio voglia di appendere al chiodo il cappellino da regista. Presto comincerà le riprese di una pellicola dedicata a Vivien Leigh che si concentra sul rapporto con Laurence Olivier e sul bipolarismo da cui era affetta. «Tutti dicevano che era matta, in realtà era bipolare».

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    Invece il progetto della pellicola sulla società pakistana per ora è accantonato perché è troppo pericoloso, anche per Fatima Bhutto, al cui libro (L'ombra della luna crescente) sarebbe ispirato.

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