Guido Biondi per ''il Fatto Quotidiano''
miles davis rubberband
Esce domani l' album perduto di Miles Davis Rubberband, registrato poco dopo la firma con la Warner, nel 1985.
L' idea geniale è del nipote Vince Eilburn Jr., andato a ripescare i preziosi nastri del progetto incompiuto e a completarli insieme ai produttori originali Randy Hall e Zane Giles, trentaquattro anni dopo la registrazione negli Ameraycan Studios di Los Angeles. Vince aveva suonato la batteria in alcune tracce durante la session con lo zio Davis e ha deciso di "ricostruire" la struttura delle canzoni.
Quando Miles lasciò la Columbia records dopo trent' anni - c' è chi dice per questioni di soldi e chi per la presunta rivalità con Wynton Marsalis -, aveva appena concluso You' re Under Arrest. Il disco è stato un tentativo parzialmente riuscito di portare nel repertorio alcuni standard pop di grande qualità, quali Time After Time di Cyndi Lauper o Human Nature, portata al successo da Michael Jackson oltre a un feauturing di Sting. Il risultato non fu del tutto eccellente, ma il solco della svolta era tracciato e così iniziarono le registrazioni di Rubberband con un sound decisamente più r' n' b e funky.
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Qualcuno sostiene che Miles volesse diventare crossover e puntare alle classifiche di Billboard e ai passaggi radiofonici, in realtà la coerenza del jazzista moderno per antonomasia seguiva l' evoluzione iniziata da lungo tempo, cambiando la sua pelle per aggiungere alla sua musica qualsiasi contaminazione con largo anticipo rispetto ai colleghi. Il suo fiuto di cambiare direzione è stata la sua vera cifra stilistica sin dai tempi di Bitches Brew del 1970, l' inizio della fusion per come la conosciamo oggi.
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Visionario e determinato a oltrepassare ogni frontiera della musica popolare, Davis fece di Rubberband il suo omaggio al funk e al groove degli anni magici del boom della disco. Davis suona la tromba e le tastiere con l' ausilio dei musicisti Adam Holzman, Neil Larsen, Wayne Linsey, Steve Reid e Glen Burris, oltre al nipote.
L' incursione nel pop inizia con Rubberband of life (feat. Ledisi), un' ode al periodo d' oro dell' r' n' b con innesti funkettoni; ha un ritmo a cavallo tra hip hop e disco, è fruibile e danzereccio quanto basta e sorprendentemente attuale.
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This Is It ha un beat possente: un mix di Kid Creole e Grandmaster Flash. Il suono di Miles è filtrato, distorto, disturbato e affievolito eppure così terribilmente inquietante ed intrigante. A metà brano il sound è impalpabile e quasi sovrumano, mette davvero i brividi. Paradise feat. Medina Johnson inizia quasi come un brano qualsiasi di Rei Momo di David Byrne salvo poi svilupparsi con un beat stiloso e coretti à la David Bowie, periodo Young Americans. Atmosfera di grande libertà e virtuosismi, esattamente l' opposto di So Emotional feat. Lalah Hathaway, ballad abbastanza banale.
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L' attacco di Give It Up è puro aceed funk con un gran basso in prevalenza e virtuosismi degni dei Weather Report. Maze - dall' incedere lento e strutturato - è la traccia che suona più demo, sound anni ottanta e tocco di inquietudine grazie ai synth vintage. I Love What We Make Togheter feat. Randy Hall è un gran pezzo r' n' b influenzato probabilmente da George Benson e molti artisti dance anni novanta, da Narada a Whispers a Shalamar. Echoes In Time/The Wrinkle è la traccia più malinconica e meditativa: parte in sordina - quasi acustica -, per trasformarsi in una jam session fulminata e corposa. La title-track ha un synth tipico anni ottanta grezzo e inascoltabile.
La chitarra sembra rubata ai Police di Andy Summers. Rubberband venne accantonato in favore di Tutu, album che oggi potremmo definire il suo fratello gemello o una sua lieve evoluzione. Dal bebop al cooljazz, dall' hard bop al rockjazz, Miles incarna nel suo Dna la stella polare per ogni grande artista jazz cresciuto con lui e dopo di lui. E pensare che sua madre avrebbe voluto regalargli un violino.
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