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    UN TOUR DA SBADIGLI - TROPPA TECNOLOGIA, POCHE EMOZIONI: LA "GRANDE BOUCLE" E’ IN CRISI - FROOME VINCE A SPASSO: MOLTI HANNO PARAGONATO LA SUPREMAZIA SUA E DEL TEAM SKY AGLI SCUDETTI VINTI DAL PSG: “NON C’È SUSPENSE, SI GAREGGIA SOLO PER I PIAZZAMENTI”


     
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    Gianni Mura per “la Repubblica”

     

    Se Romain Bardet avesse usato l’oreillette nella tappa di St.Gervais, ora non sarebbe sul secondo gradino del podio e tanti francesi non vedrebbero in lui la Grande Speranza. Dall’ammiraglia gridavano “non rischiare”, ma lui aveva interrotto la comunicazione e deciso di rischiare. E sul traguardo aveva parlato di vittoria all’antica, aveva detto che, più dei piani di corsa, nel ciclismo contano le illuminazioni.

     

    Citazione rimbaudiana, forse involontaria. O forse no, non sono molti i ciclisti abbonati a Le monde diplomatique e che partono per il Tour con qualche libro in valigia. Bardet sì, anche per questo mi piace come mi piace Sagan, due che interpretano il ciclismo in modo diverso dalla maggioranza.

     

    Nell’ultimo giorno del Tour posso dire che non sono mancate le critiche alla corsa, o al modo d’interpretarla. Molti hanno paragonato la supremazia di Froome e della Sky agli scudetti vinti dal Psg. «Non c’è suspense, le squadre più ricche fanno quello che vogliono, si gareggia solo per i piazzamenti».

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    Marc Madiot, molte vittorie tra cui due Roubaix, dirige la Fdj e non è tenero: «Il Tour è uno show, un grande Barnum pieno di stereotipi, è tutto tranne che una corsa ciclistica. Da quando c’è il World Tour e si stabiliscono gerarchie, pochi pensano di far qualcosa, se sono quarti in classifica.

     

    Questione di punti, di guadagni, è una corsa bloccata. In tv cercano di convincere gli spettatori che ogni giorno succede chissà cosa, in realtà succede poco o nulla. Quando ho visto, nella tappa del Ventoux, due gregari di Froome finire a terra e tutto il gruppo che rallentava per aspettarli ho capito che la messa era finita. Fare il corridore, ai miei tempi, era arte di vivere. Adesso è un mestiere come un altro».

     

    I discorsi su un ciclismo noioso sono più recenti di quelli su un calcio noioso, ma molti rimedi sono simili. La riduzione di effettivi per squadra, ad esempio Per gli organizzatori parla Prudhomme: «Da anni stiamo ragionando su 8 corridori per squadra anziché 9. Ci guadagnerebbe la sicurezza dei corridori e, con un uomo in meno, il controllo sulla corsa sarebbe meno ferreo.

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    Noi siamo pronti a ridurre il numero dei concorrenti già nel 2017, ma l’opposizione dei gruppi sportivi più importanti è molto forte». Nel calcio per migliorare lo spettacolo si proponeva di allargare: le porte, il campo. Nel ciclismo s’è imboccata la strada dell’accorciare i percorsi: meno ore di sella, meno tentazioni di doping ma anche meno tempi morti. Però sono cresciuti a dismisura i trasferimenti e non si sa cosa sia peggio.

     

    Una riflessione secondo me andrebbe fatta sulla sofisticata dotazione tecnologica di ogni bici. Come leggesse su un piccolo cruscotto, il corridore in gara sa quanta potenza esprime, quanti battiti ha il suo cuore, qual è la sua soglia, a che velocità sta pedalando. E in più l’oreillette, una cosa che solo a nominarla a tipi come Merckx e Hinault. fanno una faccia schifata.

     

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    Così il ciclista è sempre più robotizzato, pedala seguendo i dati del cruscotto e le parole nell’oreillette, passa in secondo o terzo piano il gusto dell’avventura, l’istinto del campione che il suo corpo lo conosce a memoria e quello degli avversari impara a studiarlo per capire il punto debole, il momento buono per attaccare. Nessun atleta, praticando il suo sport, ha oggi le informazioni di un ciclista: non un calciatore, un tennista, un nuotatore, e mi chiedo se questa superinformazione non contribuisca ad ammosciare la corsa e, poi, se sia davvero necessaria. In allenamento sì, usatela pure, ma per ricitare Bardet «à l’ancienne» in corsa è meglio.

     

    Paradossalmente, il ciclista ha fatto un enorme salto di qualità. Nel dopoguerra e fino agli anni ‘60 era un puzzapiedi, uno che arrivava sporco (di polvere, fango, sudore e fermiamoci qui) e anche da ripulito era unto dell’olio canforato dei massaggi, e in più tendeva a molestare le cameriere. Gli alberghi migliori non li volevano, i ciclisti.

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    Dormivano in due, anche in tre, nei letti matrimoniali di topaie vicine alla stazione ferroviaria. E non solo i gregari, pure Anquetil e Janine con Lucien Aimar (castamente). In camera portavano la bici, non avevano pullman faraonici Né medici, dietologi, osteopati, addetti-stampa al seguito. Bevevano come alpini, mangiavano come Pantagruel, erano picareschi e umanissimi, andare forte in bici rendeva più che fare il muratore o il contadino.

     

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    Vorrei chiarire che non ho nostalgia per quei tempi ed è giusto che dopo una tappa si arrivi in una buona camera d’albergo con aria condizionata. E vorrei precisare: chiamatela proposta o provocazione, so bene che sarà respinta con la motivazione che indietro non si torna.

     

    Va bene, ma almeno chiediamoci dove va il ciclismo, convinto di andare avanti, e quanto lo segua l’amore popolare. E’ la prima volta, a memoria mia, che al Tour spuntano tanti dubbi, e parliamo del Tour. Ieri ha vinto Greipel, detto il Gorilla (altro flash su Brassens). Al secondo posto il fenomeno Sagan. Tinkoff ha fatto sapere che chiuderà a fine anno e tornerà quando sarà finita l’era- Froome. Minimo tre anni, a occhio.

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