1 - BIDEN VUOLE FILIERE STRATEGICHE "CHINA-FREE"
Francesco Semprini per "La Stampa"
joe biden firma un ordine esecutivo
Creare una filiera di prodotti strategici, a partire dai semiconduttori, che tagli fuori la Cina. È questo il piano a cui sta lavorando l'amministrazione americana e che si inserisce nel nuovo corso dei rapporti tra Washington e Pechino inaugurato da Joe Biden. Il 46esimo presidente è prossimo alla firma, già entro febbraio, di un decreto esecutivo volto a realizzare una catena di approvvigionamento di prodotti di importanza cruciale, completamente «China-free».
Un modo per ridurre la dipendenza dal Dragone, facendo perno sugli alleati tradizionali degli Stati Uniti nell'Oriente estremo come Taiwan, Giappone e Corea del Sud. La manovra si concentra su precise categorie di prodotti tra cui semiconduttori, batterie per veicoli elettrici, metalli delle terre rare e prodotti medici.
joe biden
Secondo la bozza del decreto, Washington è pronta a siglare partnership con Taiwan, Giappone e Corea del Sud nella produzione di chip e con le economie dell' Asia-Pacifico, inclusa l'Australia, per le terre rare. Con loro condividerà dati strategici su reti di fornitura, sicurezza delle scorte e procedure di emergenza. Biden, inoltre, potrebbe chiedere ai partner di fare meno affari con la Cina. Un'ulteriore urgenza è legata anche alla carenza di chip che quest'anno ha colpito le case automobilistiche.
Gli Usa hanno visto precipitare la capacità di produzione di semiconduttori - riferisce Boston Consulting Group - dal 37% del mercato globale nel 1990 al 12% attuale. Nel frattempo, la Cina, aiutata da circa 100 miliardi di dollari in sussidi governativi, guiderà il Pianeta con una quota del 24% nel 2030.
Gli Usa importano inoltre circa l'80% delle terre rare dalla Cina mentre fanno affidamento sul Dragone sino al 90% per alcuni prodotti medici. E dipendere dalla Cina per prodotti cruciali pone rischi per la sicurezza nazionale.
2 - Claudio Paudice per www.huffingtonpost.it
microchip
La prima grossa grana industriale per Joe Biden è delle dimensioni di un microchip. Anzi: è un microchip. Il presidente americano sta per emettere un ordine esecutivo per rivedere le catene di approvvigionamento di alcuni prodotti la cui penuria rischia di minare la ripresa economica degli Stati Uniti nel dopo pandemia: batterie di grande capacità, prodotti farmaceutici, minerali essenziali ma, soprattutto, semiconduttori. Si tratta dei chip di una manciata di nanometri (un miliardesimo di metro) attorno al quale ormai gira il mondo: sono impiegati negli smartphone, nei pc, tablet e laptop, negli elettrodomestici, nell’industria della difesa.
joe biden
Ma soprattutto sono presenti nelle automobili, e sempre in quantità maggiori di pari passo con lo sviluppo di veicoli ibridi e full electric. Con l’avvento della pandemia le case automobilistiche e i loro fornitori hanno ridotto scorte e produzione di semimetalli, annullando ordini per un mercato previsto in calo. A fine 2020 però la domanda è cresciuta inaspettatamente, incrementando anche la richiesta di semimetalli che si è a sua volta sommata alla domanda di chip da parte delle aziende che producono elettronica di consumo in vista del periodo natalizio. Risultato: colli di bottiglia.
microchip
Da settimane il comparto automobilistico non sa dove andare a parare. L’amministrazione Biden spera di affrontare il problema con una revisione governativa di cento giorni delle potenziali vulnerabilità nelle catene di approvvigionamento degli Stati Uniti e con la possibilità di un aumento della produzione interna. Ma non è detto che basti a colmare la penuria, per questo la Casa Bianca non ha escluso di intensificare le collaborazioni internazionali. Solo pochi giorni fa il consigliere economico di Biden Brian Deese ha scritto al governo di Taiwan chiedendo aiuto nelle forniture di semiconduttori, indispensabili per non bloccare la produzione di auto.
general motors
L’industria automobilistica americana è stata stravolta dalla carenza di chip. Qualche numero: General Motors ha già chiuso tre impianti in America e dimezzato la produzione di due impianti in Corea; Ford ha tagliato il 20% della produzione nel primo trimestre, riducendo a un solo turno di 8 ore la produzione di uno stabilimento di Detroit, per una potenziale perdita di circa un miliardo.
Secondo Moody’s Investor Service la carenza di semiconduttori ridurrà gli utili di General Motors e Ford di circa un terzo quest’anno. Analoghe revisioni delle linee produttive sono state fatte da altre case automobilistiche giapponesi Mazda, Nissan, Subaru o quelle tedesche. Due giorni fa il Ceo di Porsche Olivier Blume ha avvertito che la carenza di semiconduttori è “molto seria” e potrebbe durare “mesi”.
problema microchip in america
In definitiva, ha calcolato la società di consulenza AlixPartners, l’industria globale dell’automobile rischia di veder minori entrate per 60 miliardi di dollari. Una cifra astronomica che rischia di affossare la ripresa post-Covid del settore e, di riflesso, dell’economia mondiale.
Gli Stati Uniti ospitano i più grandi venditori mondiali di microchip al mondo come Intel, Qualcomm, Broadcom, Micron Technology, Nvidia, Amd, tra i primi nella progettazione di dispositivi e di software (fabless), ma non nella fabbricazione materiale, non dispongono cioè di fonderie (foundry). Secondo i dati della Semiconductor Industry Association, nel 1990 gli Usa rappresentavano il 37% della produzione di semiconduttori, oggi solo il 12% sebbene quasi la metà della vendita dei prodotti finiti sia in capo ad aziende a stelle e strisce. Tradotto: in America (come in Europa) si è preferito esternalizzare la produzione di chip, per questo oggi, nel mezzo di una pandemia e di una carenza globale, tutti guardano all’estremo oriente.
microchip usati per smartphone e auto
La più grande fonderia al mondo è quella di Tsmc di Taiwan. Nella classifica dei Top15 mondiale nelle vendite di chip di Ic Insight (una delle principali società di ricerche di mercato sui semiconduttori), la fonderia taiwanese è al terzo posto dietro Intel (che però esternalizza la fabbricazione) e la coreana Samsung, quest’ultima produttrice di dispositivi integrati (IDM) dalla fabbricazione e progettazione fino alla vendita.
JOE BIDEN E XI JINPING
Basti pensare che Apple impegnerà circa il 50% della produzione di chip di nuova generazione dalle dimensioni di 5nm di Tsmc, necessari allo sviluppo dei modelli di iPhone. Non a caso, è al governo di Taipei che tutti i grandi Paesi industrializzati si sono rivolti quando hanno iniziato a fare i conti con la penuria dei semimetalli. Non solo il consigliere economico di Biden, anche il ministro dell’Economia di Berlino Peter Altmaier, con le case automobilistiche tedesche in subbuglio, ha preso carta e penna e inviato una lettera al collega Wang Yu-chi per sollecitare la produzione di chip.
Ma è su Pechino che gli occhi di Washington sono fissi, il nemico numero uno nella Chip War globale. Martedì il leader della maggioranza al Senato Chuck Summer ha dato il via ai lavori per un pacchetto legislativo bipartisan orientato al contrasto dello strapotere tecnologico cinese: “Voglio che questo disegno di legge affronti il piano a breve e lungo termine dell’America per proteggere la nostra catena di fornitura di semiconduttori e mantenerci al primo posto in intelligenza artificiale, 5G, informatica quantistica, ricerca biomedica eccetera. Servirà a combattere la concorrenza cinese e a creare nuovi posti di lavoro americani”.
XI JINPING E JOE BIDEN
Tuttavia, come riporta Bloomberg, mettere in piedi una fonderia da zero che possa rifornire le case automobilistiche di tutte le tipologie di chip necessari può avere costi notevoli, sia in termini di tempo (due anni) sia economici (circa 4 miliardi di dollari).
Il mercato dei circuiti elettronici integrati in Cina, d’altro canto, è il più grande al mondo. Nel 2020 ha registrato una solida crescita, raggiungendo una dimensione pari a 143,4 miliardi di dollari, come mostra un report di settore elaborato da IC Insights. Una delle più grandi fonderie al mondo, SMIC, ha sede a Shangai e, alla fine dello scorso anno, si è parlato di un rafforzamento della collaborazione tra Smic e Huawei, il colosso di Shenzen a cui l’amministrazione di Donald Trump l’ha giurata nella corsa al 5G.
JOE BIDEN E XI JINPING
Uno degli ultimi atti del precedente inquilino della Casa Bianca è stato quello di imporre restrizioni alle esportazioni delle imprese americane nei confronti di Smic, paventando il rischio che la Cina potesse avvalersene per scopi militari.
Come ha rivelato pochi giorni fa il Financial Times, Pechino sta ora valutando di imporre restrizioni alle esportazioni di terre rare per danneggiare le industrie statunitensi della Difesa. Le terre rare sono cruciali per la produzione di caccia F-35 prodotti da Lockheed Martin e altri sistemi d’arma sofisticati. Il mese scorso il ministero dell’Industria e dell’Information Technology di Pechino ha proposto controlli sulla produzione e l’esportazione di 17 terre rare, di cui la Cina controlla l′80% della fornitura mondiale.
joe biden
Sempre secondo il giornale della City, dirigenti industriali cinesi hanno ricevuto richieste da funzionari governativi sull’entità dei danni all’industria europea e statunitense da eventuali restrizioni, e Pechino sta cercando anche di stimare la tempistica che occorrerebbe agli Stati Uniti per trovare un’alternativa alle importazioni di terre rare cinesi.
Sulla Cina la linea dell’amministrazione Biden sembra essere in continuità con quella precedente, sebbene più concertata con gli alleati asiatici come Corea del Sud, Taiwan Giappone. Anche quest’ultimo sta pagando la penuria di semimetalli, a cui si è aggiunto il forte terremoto di magnitudo 7.3 di pochi giorni fa, forse connesso al devastante sisma del 2011 di Fukushima.
XI JINPING JOE BIDEN
na scossa che sta penalizzando ulteriormente l’industria giapponese dei chip poiché nella regione settentrionale si concentra un gran numero di fabbriche collegate alla filiera produttiva: a Naka, ad esempio, si trova quello di Shin-Etsu Chemicals, uno dei maggiori fornitori mondiali di wafer di silicio. Il sisma sta rallentando tutt’oggi le attività della Renesas Electronics, il principale produttore di chip giapponese.
La Renesas ha concluso l’acquisizione pochi giorni fa la britannica Dialog, già fornitrice di Apple, per un costo di circa cinque miliardi di dollari. L’operazione è parte del progetto di espansione dell’azienda giapponese nella produzione avanzata di chip, che ha già riguardato l’acquisizione per 3,2 miliardi di dollari della statunitense Intersil Corp, avvenuta nel 2017, e della Integrated Device Technology Inc, nel 2019, per 6,7 miliardi di dollari. Poche settimane fa il governo giapponese, come quello tedesco e quello americano, ha chiesto a Taiwan di rafforzare la produzione nazionale di microchip.
XI JINPING BIDEN
Tokyo, Washington, Pechino, Taipei o Seul non restano a guardare. Chi appare ferma tra le linee è invece l’Europa. Nelle ultime settimane si sono rincorse voci di un avvio di lavoro a Bruxelles per una alleanza europea tra le aziende di semiconduttori che potrebbe coinvolgere anche i produttori di automobili e le compagnie di telecomunicazioni. L’idea è di finanziare il progetto con trenta miliardi tra pubblico e privato e per ora una ventina di Paesi ha dato la sua disponibilità a far parte del progetto. Ma i tempi biblici di Bruxelles rischiano di lasciare l’Europa fuori dai giochi nella partita globale dei semiconduttori.