Luca Serranò per www.repubblica.it
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Dirottava i pazienti in una struttura sanitaria convenzionata, intascando sistematicamente i soldi delle visite. Un “tesoro” accumulato nel giro di pochi anni, e che ora rischia di dover restituire.
La corte dei conti della Toscana ha condannato a un maxi risarcimento da 1 milione di euro un ex professore dell’università di Pisa, endocrinologo, accusato di aver provocato un grave danno erariale con un disinvolto ricorso alla libera professione. L’uomo, già sospeso dal servizio, era finito al centro di una inchiesta penale per peculato, in cui si ipotizzava proprio un metodo collaudato per nascondere una florida attività da privato.
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Secondo le accuse, nel periodo compreso tra il gennaio 2011 e l’agosto 2016 l’ex professore si sarebbe appropriato di una fortuna non facendo risultare numerosissime visite: «Avrebbe occultato il proprio doloso comportamento — si legge nella sentenza, depositata nei giorni scorsi — tra l’altro rendendo false dichiarazioni in sede di instaurazione dei rapporti lavorativi, dichiarando di non versare in situazioni di incompatibilità».
Contestata la violazione degli obblighi di servizio. «Comportano il dovere di richiedere l’autorizzazione per lo svolgimento di attività professionale extra lavorativa — si legge ancora — ovvero di astenersene, nonché di riversare le somme indebitamente percepite».
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In sede penale il docente universitario era stato condannato con l’accusa di peculato, reato poi derubricato in abuso d’ufficio: la Cassazione, però, aveva dichiarato il non doversi procedere a causa della prescrizione. Nei giorni scorsi l’epilogo del processo contabile, e la batosta da un milione di euro: i giudici hanno ordinato il risarcimento a favore dell’erario, individuando come amministrazione danneggiata l’Università di Pisa.
Negli ultimi mesi numerosi altri medici toscani sono stati condannati per danno erariale: il caso più clamoroso quello dell’ex responsabile delle Usca di Rosignano Marittimo (Livorno), pizzicato in spiaggia o a giocare a tennis negli orari in cui avrebbe dovuto garantire assistenza ai malati di Covid. L’uomo si sarebbe assentato da lavoro per oltre 104 ore, pur risultando presente sui registri della struttura.