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    VELA DO IO LA GLORIA - CATERINA BANTI E RUGGERO TITA, UNA ROMANA E UN TRENTINO, IMPONENDOSI NELLA SPECIALITÀ "NACRA 17" HANNO RIPORTATO IN ITALIA UN ORO CHE MANCAVA DA SYDNEY 2000 - PRIMO SUCCESSO DI UNA COPPIA MISTA: HANNO VINTO MARCANDO STRETTO I BRITANNICI E CON UN PO' DI CATENACCIO, ALLA CHIELLINI SU KEANE - LEI: "CI VEDIAMO PIÙ CHE CON I RISPETTIVI FIDANZATI, CI COMPLETIAMO BENE E…" - VIDEO


     
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    1 - UNA DONNA, UN UOMO

    Gianluca Cordella per "Il Messaggero"

     

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    L'Italia completa la tetralogia degli elementi. Dopo l'oro della Terra di Vito Dell'Aquila e quello dell'Acqua di Valentina Rodini e Federica Cesarini. Dopo il doppio oro del Fuoco (sacro) di Marcell Jacobs e Gimbo Tamberi. Ecco quello dell'Aria, del vento. Lo regalano al medagliere Ruggero Tita e Caterina Banti.

     

    È il podio numero 29 che fa volare l'Italia oltre il risultato di Rio e la proietta verso il record assoluto dei 36 podi di Los Angeles 1932 e Roma 1960. L'impresa dei due azzurri era maturata nella settimana precedente, ieri è stata solo certificata con una medal race che è stata un capolavoro di astuzia.

     

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    E che riporta la nostra vela sul podio olimpico 13 anni dopo le due medaglie di Alessandra Sensini e Diego Romero a Pechino. Se poi invece vogliamo rintracciare un altro oro è necessario scivolare fino a Syndey 2000, ancora con la Sensini nel Mistral. Ma questo oro è anche un inedito assoluto per lo sport italiano: è infatti il primo titolo olimpico azzurro con una formazione mista.

     

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    SEMPRE AL VERTICE

    Le medaglie al collo se le sono messe l'un l'altra, ma gliele ha portate sul vassoio il presidente del Coni Giovanni Malagò. «In epoche non sospette avevo chiesto al Cio di effettuare questa premiazione. Avevo visto lungo», racconta nella baia di Enoshima il numero uno dello sport italiano.

     

    Ed effettivamente questo trionfo è una sorpresa solo per chi non mastica di vela. Nella loro specialità, il Nacra 17, Tita e Banti sono dei fuoriclasse di livello assoluto. Lo sanno bene al Circolo Aniene, che con l'aiuto della Webuild sostiene Caterina.

     

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    «Un grande lavoro di squadra che dà lustro all'Italia», il commento dell'ad Pietro Salini. E insomma, nei cinque anni passati a bordo dello stesso catamarano il sodalizio nasce nel 2016 dopo un incontro casuale a Formia vincono tre titoli europei e uno mondiale (oltre a un bronzo).

     

    Trentino di Rovereto lui, atleta delle Fiamme Gialle. Romana e romanista lei, tesserata per l'Aniene. Entrambi partiti da altri sport. Per Ruggero c'è lo sci, per Caterina un po' di tutto: equitazione, scherma, ginnastica ritmica.

     

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    Ma quando lui inizia ad abbracciare il mare, Caterina è ancora focalizzata su altro: diventa capo scout, sposa gli studi orientali. La sua, di passione per la vela, cresce piano piano. Inizia a fare le prime regate, ma c'è sempre quella sensazione che sia più un hobby che altro.

     

    Tant'è che ad Anguillara le sue competenze le usa per dare lezioni ai bambini. Ma c'è una svolta precisa, nel 2013: è il momento in cui per la prima volta Caterina si cimenta con la categoria Nacra 17.

     

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    I catamarani volanti progenitori dei missili che abbiamo visto sfidarsi nell'ultima America's Cup tra Luna Rossa e New Zealand sono un colpo di fulmine. Quando poi c'è quell'incontro a Formia beh, il resto è già noto.

     

    A TOKYO

    L'Olimpiade di Ruggero e Caterina è stata perfetta. Nelle 12 regate di qualificazione hanno collezionato quattro vittorie e quattro secondi posti. Avversari schiantati al punto di essere arrivati alla Medal Race già sicuri di chiudere primi o secondi.

     

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    A spostare gli equilibri poteva essere solo la Gran Bretagna che, però, per il trionfo avrebbe dovuto piazzare almeno quattro barche tra sé e gli azzurri. Che giocano di furbizia. Inutile cercare la vittoria, basta tenere d'occhio i britannici. E così è stato: marcatura stretta tipo Chiellini su Kane tanto per restare sulle sfide recenti tra Italia e Inghilterra e oro di strategia con un 6° posto subito alle spalle dei rivali. Chiamatelo catenaccio, ma lo sport azzurro ci ha costruito su un impero.

     

     

    2 - «DOVE NON ARRIVA UNO INTERVIENE L'ALTRO...»

    Giacomo Rossetti per "Il Messaggero"

     

    Viene da Roma, ha amato il Nordafrica dove ha vissuto, e gira il globo sfrecciando su un catamarano che pare una navicella spaziale, a fianco di un compagno con cui non serve parlare per farsi capire. In due parole: Caterina Banti.

     

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    Ventuno anni dall'ultimo oro olimpico nella vela: cosa faceva nel settembre del 2000?

    «Avevo tredici anni ed ero una scout».

     

    Sembra sempre molto controllata, quasi come se questa medaglia fosse scontata.

    «A esser sincera, non dormiamo da una settimana... Devo ancora realizzare che abbiamo vinto. Non pensavamo all'alloro olimpico, ma solo a navigare al meglio in ogni singola prova. A quel punto la medaglia è arrivata davvero».

     

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    Lei e Tita avete vinto il primo oro italiano misto. Di cosa è fatta la vostra alchimia?

    «Entrambi siamo persone con un obiettivo comune. E i successi arrivano soltanto se sia lui che io diamo il trecento per cento».

     

    Caratterialmente siete simili?

    «Ci completiamo bene: dove non arriva lui arrivo io, dove ho difficoltà io non ce l'ha lui. Siamo entrambi molto impulsivi, non c'è uno più freddo e uno più caldo. Quando serve ci tranquillizziamo a vicenda».

     

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    Dal 2016 a oggi avete navigato tantissimo insieme.

    «E' difficile raccontarlo in poche parole. Sono stati cinque anni in cui abbiamo dedicato le nostre vite alla vela, e intendo dedicato a 360 gradi: non solo in acqua, ma anche a casa, in palestra... Passiamo insieme venti giorni al mese, ci vediamo più tra noi che con i nostri rispettivi fidanzati».

     

    Da cosa è derivata la voglia di studiare lingue orientali?

    «Ho cominciato a studiare arabo quando avevo diciassette anni. Poi terminato il liceo, mi sono trasferita in Tunisia: lì per un anno intero ho studiato la lingua».

     

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    Quando sei tornata in Italia aveva le idee chiare.

    «Ho scelto quella facoltà anche per seguire le orme di mio papà, che è professore universitario di linguistica e glottologia di lingue del Corno d'Africa».

     

    Laurea triennale alla Sapienza, laurea magistrale all'Orientale di Napoli: la carriera accademica sarebbe stata il naturale proseguimento?

    «Mi avevano anche proposto un dottorato, ma ho rifiutato: nella testa avevo solo la campagna olimpica. Ma sono studi che posso sempre far fruttare, in Tunisia ho lasciato un pezzo di cuore».

     

    Scherma, danza classica, equitazione: i suoi primi sport erano molto lontani da quello attuale.

    «Io ho sempre voluto fare uno sport a livello agonistico: ne ho praticati tanti, poi mi sono innamorata della vela. Il merito è di mio fratello e del mio primo allenatore, Matteo Nicolucci. Lui è stato il primo a credere in me e a spingermi verso il sogno a cinque cerchi».

     

    Come si dice medaglia d'oro in arabo?

    «Ah non lo so, è una vita che non lo tocco più (ride, ndr)».

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