pink floyd
Marco Molendini per il Messaggero
Le grandi storie non finiscono mai. A rianimarle, anche quando sembrano spezzate per sempre, ci pensano le suggestioni della nostalgia che, nel caso dei Pink Floyd, negli ultimi anni sono state curiosamente alimentate proprio da chi si è rifiutato di rimettere insieme i cocci di quella poderosa avventura: i revival preziosi e entusiasmanti di Roger Waters, con The dark side of the moon e The Wall, le rievocazioni di David Gilmour con The endless river e Live at Pompei.
PINK FLOYD
Esaurito il filone autocelebrativo, si fa viva ora la consolazione visiva di una mostra che, fin dal titolo, sembra comunque un ulteriore epitaffio su un futuro possibile dei Pink Floyd, la band più rimpianta dai tempi dei Beatles: Their mortal remains, i loro resti mortali (citazione di un celebre verso di Nobody home), dopo il debutto londinese (con 400 mila visitatori al Victoria & Albert museum, un record) sbarca finalmente in Italia, ospite dal 19 gennaio al Macro, in quella che è la sua seconda uscita europea.
Scelta che, se premia il rapporto stretto fra la band e il nostro Paese, segna anche la conclusione di una travagliata gestazione: il debutto assoluto, secondo i piani, avrebbe dovuto essere nel 2014 a Milano, ma le trattative si sono rotte fra beghe e richieste di risarcimento.
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«All'inaugurazione verremo di sicuro Roger e io» annuncia Nick Mason, delegato dai suoi ex compagni Gilmour e Waters a seguire l'allestimento. Il batterista e fondatore della band è l'unico che non ha problemi a dichiarare che, per lui, la reunion impossibile sarebbe possibile: «Io sono pronto» risponde, senza esitazioni, all'irrinunciabile curiosità. Ma, subito dopo, spegne ogni ulteriore, possibile entusiasmo: «Non credo, però, che David e Roger siano d'accordo, anche se ai tempi di Live 8 una ricomposizione sembrava altrettanto impossibile. Poi Bob Geldof ci riuscì. E a me sembrò una cosa bellissima».
RESTI I tre superstiti hanno tutti dato una mano a mettere insieme i loro resti mortali: «L'idea di montare la mostra è stata suggerita da quella sensazionale su David Bowie. Ma, in quel caso, l'allestimento è stato facilitato dal fatto che lui aveva raccolto e collezionato tutte le possibili testimonianze della sua carriera. Noi, invece, ci siamo trovati di fronte al caos. Tante cose sono andate perdute. Per esempio, mi sarebbe piaciuto avere la maglietta indossata da Johnny Rotten dei Sex Pistols con la scritta I hate Pink Floyd». A mettere insieme il caos ci hanno pensato Aubrey Powell di Hipgnosis Ltd e Storm Thorgerson, che hanno realizzato molte delle indimenticabili copertine della band.
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«Il risultato è un viaggio audiovisivo e multisensoriale nei nostri 50 anni di carriera» assicura Mason, ripiombato in pieno clima pinkfloydiano e strappato alla sua passione per le auto da corsa: «Ne ho circa 30 e l'anno prossimo potrei farne una mostra» racconta con fierezza, non dimenticando di sottolineare che le sue pazzie (le chiama così) rendono:
«Quarant'anni fa comprai la Ferrari GT 250 del 62 pagandola 40 mila sterline, oggi vale attorno ai 30 milioni». Il viaggio alla ricerca dei Pink Floyd perduti gira attorno ai loro feticci, dalle mucche di Atom heart mother, al prisma rotante di The dark side, al maiale volante di Animals, ai marching hammers di The Wall, ad alcune suggestive invenzioni di allestimento come la Performace zone, uno spazio audiovisivo che comprende la riproposizione dell'ultimo concerto, quello appunto al Live 8 del 2005 con Confortably Numb.
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TOUR Il tour espositivo (lo spettatore viene dotato di un lettore e di una cuffia che fa ascoltare le musiche legate ai vari settori visitati) segue un filo cronologico, partendo dai primi passi della band (fra le altre cose c'è la riproduzione, in scala quasi raddoppiata, del furgone Bedford nero con la fascia bianca, utilizzato nel 1965 dai futuri Pink Floyd quando si chiamavano ancora The Tea Set). La mostra romana, però, non sarà identica a quella londinese. All'appello mancheranno una trentina di oggetti: «L'abbiamo adattata allo spazio a disposizione racconta Mason . Ma le cose che mancano le abbiamo sostituite con alcuni oggetti che riguardano il rapporto fra Pink Floyd e l'Italia, che è stato sempre molto forte».
Ci saranno, così, accenni al concerto di Venezia, a quello di Pompei con One of these days proposto nella Performance zone con immagini del film. «Difficile recuperare qualcosa del nostro passaggio del 68 al Piper club ammette il batterista eravamo agli inizi della nostra storia». Ci sarà, comunque, il poster del Festival del pop di Roma, quattro giorni di concerti (c'erano anche i Byrds, Donovan, Captain Beefheart) a imitazione del Monterey festival, che si tradussero in un sonoro disastro di pubblico e economico. La mostra, presentata ieri in Campidoglio, non ha ancora una data di chiusura (il Macro in queste settimane sta passando alla gestione del Palaexpo). I biglietti, comunque, sono già in vendita.
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