DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Video di Veronica Del SoldÃ
Francesco Persili per Dagospia
«Quanti ce ne sono dei nostri?» Chiama a raccolta le «pantere grigie», Federico Rampini, una volta salito sul palco del teatro Argentina per dare voce e fondamento culturale alla stagione del bis (copyright Marc Freedman, The Big Shift) dei baby-boomers. L'editorialista e inviato de La Repubblica porta in scena il suo nuovo libro dal titolo mutuato da un proverbio afghano (Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo, Mondadori) e titilla l'orgoglio dei figli del Dopoguerra arrivati alla soglia della seconda età e mezzo, una specie di "encore stage", quella fase che a teatro coincide con il momento dell'applauso e dei bis.
Certo, negli Usa, i progressi della medicina e della qualità della vita aprono magnifiche discussioni su come mettere le energie dei baby boomers a servizio del bene collettivo. Per non parlare della Germania in cui le aziende assumono 50enni per fare formazione oppure della «grande civiltà confuciana in cui i capelli d'argento sono ancora un valore». Ma in Italia? Gli applausi non sono pervenuti. Le richieste di bis, figuriamoci.
«Se torno qui per qualche giorno, mi sento ingombrante, a 56 anni ho l'età sbagliata?» Si chiede il "reporter-nomade della globalizzazione" che prende le distanze dal concetto di rottamazione («a Renzi ha portato più danni che benefici») e sceglie l'orizzonte del California dreamin' - la parte del mondo in cui si incontrano le rivoluzioni tecnologiche dei 20enni (da Bill Gates a Steve Jobs fino a Zuckerberg) con gli studi dell'università di Stanford sulla longevità - per approdare alla conclusione che anche i più anziani dei baby boomers, che vengono ridotti da una vulgata sprezzante a costo sanitario e previdenziale, possono rappresentare ancora una risorsa irrinunciabile.
Una crisi che sembra avvitarsi in una spirale senza fine e il mercato del lavoro più difficile dai tempi della Grande Depressione portano l'Anti-Rottamatore di Largo Fochetti a chiedere alla sua generazione (da decenni "classe dirigente diffusa", come si sarebbe detto un tempo, quando Rampini militava nel Pci ma già sognava California) un supplemento di impegno.
«La nostra vasta generazione, figlia del boom economico e demografico del Dopoguerra, ha enormi responsabilità . Ci sono le nostre impronte digitali sulla crisi che stiamo attraversando», ammette Rampini convinto però del fatto che saranno i suoi coetanei a portarci fuori dalla crisi. E per quale motivo visto i precedenti? «Siamo la generazione più numerosa, senza di noi non si va da nessuna parte». Ma i baby boomers hanno già avuto le loro possibilità . «Non le abbiamo avute, ce le siamo conquistate». In mezzo alla retorica della piazza e delle belle bandiere, un dubbio che resta.
Tra baby pensioni e la fortuna di aver conosciuto un mercato del lavoro che offriva impiego stabile e retribuzioni dignitose - e non 46 tipologie di contratti atipici e stipendi da fame - i figli del Dopoguerra rispetto agli under 40 possono considerarsi una generazione di privilegiati? «Non mi piace il discorso sulla generazione privilegiata perché tende a cancellare completamente una grande stagione di lotte. Penso allo Statuto dei lavoratori, ad esempio. Certi diritti in Italia non ce li ha regalati nessuno dall'alto».
Dal basso, invece, il debito pubblico continua ad essere una montagna e l'avvenire continua ad essere quel buco nero in fondo al tram cantato da Enzo Jannacci: non farebbe bene prima un po' di autocritica? Il riconoscimento degli errori commessi dai padri "babboccioni" e dai "genitori-spazzaneve", protettivi nei confronti dei figli come da manuale del dottor Spock (travolto in America dal ruggito delle mamme tigri cinesi di Amy Chua) non lascia in ombra la convinzione di Rampini che di qualsiasi ricetta contro il declino debbano farsene carico i suoi coetanei. Boom.
O meglio baby boomers. Quelli che per la prima volta nella storia hanno sfidato apertamente la cultura dei padri. Non più riproduzione ma contestazione, addirittura rivoluzione. Berkeley, Parigi, Praga, il Sessantotto. Vogliamo tutto e lo vogliamo subito.
Ecco, appunto, la generazione antiautoritaria cresciuta con i poeti della Beat Generation e il mito di Kerouac che fa del concetto di gioventù una categoria politica, con buona pace di Marx e Engels, e cambia il mondo a colpi di summer of love, sex revolution e rock'n'roll. Sono stati sempre innamorati del nuovo anche se oggi dicono di avere il culto dell'innovazione da perfetti Mac-Evangelist di Steve Jobs. Stay hungry, stay foolish.
Stai sereno che loro ti prestano i sogni, i romanzi di formazione, i film per fare bella figura e anche la colonna sonora giusta per ogni occasione. Time is on my side dei Rolling Stones. Stai cercando tempi migliori/ ma aspetta e guarda/ tornerai indietro correndo... O resterai in scena come Mick Jagger.
«Vederlo sul palco è uno spettacolo vivificante», il medaglione di Rampini che dei suoi coetanei racconta anche il narcisismo e la fascinazione libertaria della Me-generation. L'edonismo reaganiano e le idee del Sessantotto realizzate in altra forma quasi vent'anni dopo. Ma lo Stato non è più la soluzione, lo Stato diventa il problema. Ecco l'attacco al Big Government e il turbo-liberismo di Milton Friedman.
«L'egemonia culturale del pensiero neo-conservatore ha segnato l'architettura globale degli ultimi 30 anni - rimarca il Rampo d'argento - che considera errore, tra i più grandi dei politici "progressisti" della sua generazione, il fatto di essersi lasciati abbacinare dal sogno che si potesse utilizzare il mercato per fare cose di sinistra come liberalizzare e rendere la società meno ingessata con maggiori opportunità alla portata di tutti».
Era la terza via vagheggiata da Clinton, Blair, Schroeder e D'Alema, immortalata plasticamente dalla foto di Firenze ai tempi del convegno sull'Ulivo mondiale (o sul riformismo del XXI secolo). L'immagine di una sinistra occidentale, moderna, ma, soprattutto, vincente.
«Epperò ha vinto adottando una parte di programma dell'avversario - insiste l'ex giornalista del settimanale Città Futura della Fgci - alcune leggi sulla de-regulation finanziaria portano la firma di Bill Clinton», il commander in chief dei baby boomers, generazione alla quale appartiene anche Obama.
All'inquilino della Casa Bianca, Rampini riconosce la «riscoperta del partito di massa» durante una campagna elettorale condotta attraverso le analisi sofisticate di Big Data ma senza rinunciare al porta a porta, e il merito di una politica economica che ha puntato sulla crescita e sull'occupazione. Su questa latitudine si situa - secondo il corrispondente de La Repubblica da New York - anche il centro-sinistra italiano che, dopo le primarie «ha ritrovato una grande fiducia e una linea politica chiara» mentre la destra è «in stato confusionale e il ritorno in campo di Berlusconi è solo l'ultimo sussulto di un padrone che preferisce uccidere la sua creatura piuttosto che lasciarla in eredità ad altri».
L'impressione resta di una partita giocata nella metà campo dei baby boomers (Bersani, Grillo) se non della generazione precedente (il Cavaliere) che taglia ancora fuori gli under 40. «Devono fare come gli altri: lottare per conquistarsi un posto al sole - afferma Rampini - nessuno ti regala niente. Mao diceva la rivoluzione non è un pranzo di gala». Anche gli slogan sono rimasti più o meno quelli di mezzo secolo fa. Dall'immaginazione al potere alla fantasia di reinventarsi ancora per un altro giro di giostra. L'ultimo, forse. Tremate, tremate, le pantere grigie son tornate. Ma, in verità , non se ne sono mai andate.
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