DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Gli Italiani di Alberto Arbasino
Video di Veronica Del Soldà per Dagospia
Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
1. A ROMA, NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ DANTE ALIGHIERI, LO SCRITTORE HA PARLATO DEL SUO ULTIMO LIBRO
raffaele manica e alberto arbasino
Si è svolta presso la Galleria del Primaticcio di Palazzo Firenze a Roma, la presentazione del libro Ritratti italiani (Adelphi 2014) di Alberto Arbasino. Il nuovo lavoro di Arbasino raccoglie conversazioni, interviste, dialoghi con illustri contemporanei quali Roberto Longhi, Aldo Palazzeschi, Giovanni Comisso, Mario Soldati, Alberto Moravia…L’autore ne ha parlato con il critico letterario Raffaele Manica.
2. RICORDI, TIC, BATTUTE ECCO CHI ERANO I MIEI FRATELLI D'ITALIA
Paolo Mauri per “la Repubblica”
Il titolo vero poteva essere "Ritratti italiani con Arbasino" perché l'autore davvero non lascia mai soli i suoi lettori e i "Ritratti" sono molto spesso incontri ravvicinati, istantanee che tramandano un'immagine, con successiva messa a fuoco del personaggio e del suo pensiero, ma senza nessuna accademia, caso mai con il gusto di una erudizione sciolta in amabile conversazione. Capita dunque di incontrare Gianfranco Contini sul terrazzo di Arbasino e di sentirlo lodare i bei tageti e già si capisce che un filologo della sua altezza non avrebbe mai detto: che bei fiori…
raffaele manica alberto arbasino
E capita, arretrando nel tempo, grazie al ritratto di Elvio Fachinelli, di ritrovarsi al Collegio Cairoli di Pavia dove il ventenne Arbasino studia e siede a tavola con Fachinelli, appunto, e con Alberoni. A pranzo, ma non a cena, perché la sera Arbasino prendeva il treno per Milano, andava a teatro e rientrava di nascosto (il portone era ormai chiuso) grazie ad una scaletta di corda che Fachinelli stesso faceva scendere da una finestra…
E che dire di quella volta che al cinema Altieri di Roma (era un cinema da ottanta lire, precisa l'autore) credendo di sedersi su una poltrona vuota, si siede invece sopra Irene Brin tutta vestita di nero? Ritratti vissuti dunque, da testimone eccellente e anche un po' da protagonista, come quando ricorda la Modena di Delfini dove si girava La bella diLodic on una giovanissima e bellissima Sandrelli. Delfini compare di sfuggita nel film, ma consigliava luoghi adatti per le scene da girare.
Con Palazzeschi, amato maestro dell'avan- guardia storica che abitava da vecchio in via dei Redentoristi, vicino al teatro Valle, Arbasino va a cena alle Colline Emiliane e al tavolo vicino trova Andreotti con la squadra della Roma. Con re Umberto in esilio pranza a Lisbona in casa di un "architetto e designer fastoso e vispo". L'ex re per arrivare puntuale aspetta un quarto d'ora in macchina sotto casa, poi interroga Arbasino sugli appartamenti Agnelli e Crespi di cui è molto curioso.
«Si apre il salotto! – Arriva Cibotto – lasciando in ascensore – Anna Salvatore – che manda avanti – Anna Banti». Così si apre il ritratto dedicato alla scrittrice che amministrava la rivista Paragone … Ritratti italiani è uno smisurato palcoscenico dove passa mezzo Novecento e non ci si annoia mai.
Estratti del libro “Ritratti Italiani” di Alberto Arbasino, edito da Adelphi
GIANNI AGNELLI - L’ALLURE E LA VERVE DI UN SOVRANO
Agnelli possedeva l’allure e la verve di un sovrano settecentesco vivacissimo, e di un banchiere cosmopolita carismatico e seducente – benché producesse automobili non molto chic. Tutti i parvenus, generalmente, osservavano affascinati i suoi polsini e cinturini e bottoni, e non già i dettagli della 124 o della 850.
Ma i «vecchi dei circoli» notavano compiaciuti che quella fatuità apparente discendeva dagli insegnamenti tradizionali della severissima Scuola Militare di Cavalleria (Scuola di Guerra, addirittura), a Pinerolo. Mai mostrarsi ansiosi o preoccupati, davanti ai sottufficiali e alla truppa. Anzi, ostentare disinvoltura e nonchalance soprattutto davanti ai dolori e ai pericoli, alla testa dei reggimenti.
GIANGIACOMO FELTRINELLI - GLI SCOPPI D’ALLEGRIA E LE FESTE COL SALAME
Giangiacomo aveva un carattere tipicamente capace di scoppi d’allegria esagerata, però senza lussi. Bisogni, niente. Desideri, non se ne parla. Aveva alcuni tratti grandiborghesi precisi: il valutare direttamente e senza perifrasi di cortesia l’economicità delle operazioni, addirittura con un’affettazione manageriale di calcoli di costi e ricavi improvvisati con carta e matita lì al momento, il cambiar tema facendo simpatiche domande su argomenti interessanti per l’interlocutore, quando la conversazione arrivava a una impasse; il timore non confessato ma visibile di venir frequentato solo per i suoi soldi, e dunque un certo ritegno e difficoltà nello stabilire rapporti semplici e distesi.
Ma il tono manageriale scompariva immediatamente quando si usciva dall’ufficio e si passava al pranzo o al weekend: come se si proponesse di diversificare vistosamente il Privato dal Business. Scoppi fragorosi d’allegria. Feste deliziose in campagna, magari con pane e salame e la banda del paese. E ospiti cosmopoliti, non già funzionari e burocrati.
PASOLINI - QUANDO MI DISEGNÒ CON UN PENNARELLO
Ho qui davanti un ritratto che mi fece P.P. (non ancora P.P.P., che usava solo lui) col pennarello, durante una delle solite interviste. Qui davanti c’è una macchinetta da scrivere, ma questi zigomi sono più suoi che miei. Una didascalia sulle spalle: «Arbasino, in un atto di industria culturale (abbietto, naturalmente)». E una freccetta, di fronte: «Io mentre aspetto che scriva le domande a cui nobilmente rispondere».
CALVINO - ANCHE GLI STAGNINI SONO POSSIBILI POETI
A: Forse tutti s’illudono di esser fuori dal ritmo produttivistico...
C. Lo scrittore dev’essere un gran signore. Se no, non fa niente di buono. Per gran signore intendo anche uno stagnino che fa lo stagnino tutto il giorno, e la sera se gli viene, scrive versi. (Non è una figura retorica; almeno uno ne esiste; io lo conosco). Guai se uno scrive pressato da qualche urgenza esteriore. Senza un abbandono assoluto a cercare la verità del mondo e di se stessi, disinteressatamente, non c’è letteratura che valga.
GHIRINGHELLI - LA STRATEGIA DEL TEATRO LA SCALA
marisela federici furio colombo
«I doveri del maggior teatro d’Opera al mondo » dice Antonio Ghiringhelli nella sua bella villa milanese, in via XX settembre «riguardano sia la produzione sia la destinazione degli spettacoli. Primo: conservare e potenziare i valori musicali più considerati. Secondo: riportare alla vita tutto quanto è stato abbandonato (non sempre giustamente) in passato. Terzo: valorizzare la nuova produzione.
Lo scopo è una funzione informativa, sempre più vasta: allargando il patrimonio comune in tutte le direzioni. Toscanini si rammaricava: “Ho sulla coscienza di non aver fatto tutto il possibile perché il Don Carlo diventasse un’opera di largo repertorio”. Ma oggi si rappresenta in ogni città – inaugura addirittura le stagioni – proprio perché la Scala l’ha ripreso dall’abbandono. Così come ha praticamente rimesso in circolazione Mozart, dimenticato per decenni: le statistiche parlano! E una volta colmate molte lacune, finito il dopoguerra culturale, la Scala deve procedere tenendo sempre presenti le tre direzioni: repertorio, recuperi, scoperte».
marisela con il libro di arbasino
marina ripa di meanalibro presentatomarina ripa di meana (2)
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