Chiara Maffioletti per il "Corriere della Sera"
cristiano malgioglio
Dietro l’immagine di uno dei personaggi più sfavillanti dello spettacolo italiano, c’è la storia di un ragazzo siciliano cresciuto in una famiglia molto riservata. «Nessuno mi ha mai chiesto nulla in casa, rispetto alla mia sfera più privata — racconta Cristiano Malgioglio con quella parlata che è ormai parte della sua firma —. Da ragazzo, avrò avuto 15 anni, tappezzavo la mia camera con le immagini dei divi americani che amavo: James Dean, Montgomery Clift... mio padre si limitava a chiedere a mia madre perché suo figlio appende tutte queste foto e lei gli rispondeva: “ Vedrai che gli passerà”».
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Oggi ha sul comodino una foto di Channing Tatum, e non è una battuta. «Lo amo», è il commento. E tanto basta. Cristiano Malgioglio è così: autenticamente simpatico, con una mente veloce al servizio di una miniera di racconti. «So di avere una doppia immagine: quando sono in scena mi trasformo rispetto a chi sono nella vita di tutti i giorni, in cui al massimo vado a fare la spesa al supermercato... ho solo un problema quando mi trovo davanti ai pomodori».
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Prego?
«Non posso non fermarmi a guardarli, adoro tutto ciò che è rosso. Anche quando vedo un’anguria aperta non mi so trattenere, è come se fossi di fronte a un gioiello, divento pazzo. Ho chiamato un mio amico analista e gli ho chiesto: ma che devo fare per questo problema? Mi ha detto: ti fa stare bene? Benissimo, allora continua a guardare pomodori».
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La sua carriera è iniziata grazie a un incontro fortunato: Fabrizio De Andrè.
«I miei non volevano facessi questo lavoro, quindi non mi davano soldi. Così sono andato a lavorare in posta, smistavo i telegrammi. Avevo scelto però di spostarmi in Liguria, un po’ perché mia sorella abitava a Genova e un po’ perché lì c’era Gino Paoli: avevo scelto l’ufficio postale del suo comune perché il mio sogno era vederlo, dopo che per anni da ragazzino mi cullavo con la musica delle sue canzoni. Facevo le scuole serali e al mattino andavo a lavorare in posta».
In quegli anni ha conosciuto De André.
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«Lo andavo a disturbare in continuazione. Un giorno mi ha ricevuto e sono riuscito a fargli sentire le mie canzoni. A quel punto mi aveva promesso di farmi conoscere il capo della Ricordi, a Milano, e sapendo che non avevo soldi nemmeno per il treno, mi aveva pagato il biglietto in prima classe, una meraviglia. Lì, ho conosciuto Dori Ghezzi: li ho fatti incontrare e da quella sera non si sono più lasciati».
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E per lei? Cosa rappresenta l’amore?
«In famiglia non ne ho mai parlato. Mia madre quando mi vedeva arrivare con qualcuno mi diceva cose del tipo: questo tuo amico non mi piace, questo mi sta simpatico. Nulla più. Solo un mio nipote, di recente, mi ha chiesto: ma tu ce l’hai un uomo? Non mi ero mai sentito dire una cosa del genere e mi ha fatto un certo effetto. Gli ho risposto che sì, ce l’ho. Ho una bella storia con un ragazzo che vive a Istanbul, anche se la pandemia ha un po’ distrutto il feeling. Stare ogni sera a gesticolare davanti al cellulare — perché lui parla solo turco e io no —, mi ha fatto venire i reumatismi alle braccia. Ora abbiamo ripreso a vederci, vorrei prendere una casa lì».
cristiano malgioglio al gfvip
Ha mai avuto il desiderio di sposarsi?
«Mai. Anche perché sono infedele di natura. Prendo cotte di continuo, neanche fossi un 18enne in spiaggia. Ma non sono geloso, neppure delle persone con cui ho lavorato».
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Mina, per esempio.
«Lei mi ha spalancato le porte con “L’importante è finire”, che secondo i moralisti voleva dire tutt’altra cosa rispetto al suo significato. Non ci sentiamo così spesso ma so che mi vuole bene. Io adoro la sua risata. Poi Iva Zanicchi, Raffaella Carrà... ho scritto un po’ per tutte. Solo con Ornella Vanoni non ho un bel rapporto: una volta mi ero arrabbiato io con lei perché aveva cambiato una parte del testo di Amico mio, amore mio. Tempo dopo mi chiamò lei una notte perché voleva interpretare una canzone che era già stata assegnata a Iva Zanicchi: mi attaccò il telefono. Di recente l’ho vista al cinema... non mi ha salutato, ma non è un problema, io la amo».
Raffaella Carra e Cristiano Malgioglio - Foto Farabola
Di Raffaella Carrà era amico?
«Pochi giorni prima che morisse mi aveva telefonato dicendomi: “Senti, mi devi fare un regalo: rimani come sei, perché quando arrivi tu la tv cambia colore”. Non capivo. Dieci giorni è morta: non potevo crederci. Avevamo lavorato assieme, lei mi aveva chiesto di scriverle una canzone d’amore, come quelle che facevo per Mina e nacque Forte, forte, forte. Avevo rifiutato di lavorare a A far l’amore comincia tu, dicendo a Boncompagni: questa canzone è terribile, non andrà da nessuna parte. Manca molto. Ora dedico una parte del mio spettacolo a lei».
Sono tante le donne della sua vita.
«Le amo. Avevo due sorelle, una purtroppo non c’è più: è stato un dolore terribile, era la mia fan più accanita. L’altra vive in Sicilia ma è più chiusa. Quando prenota una visita medica e le dicono: si chiama Malgioglio come Cristiano, mi chiama: “Allora sei davvero famoso”. Ma io in Sicilia da quando è morta mia mamma non torno più volentieri. Mi fa male. Vado a salutare lei e i miei nipoti ma non mi soffermo».
Ha amato anche tante donne famose.
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«Tantissime. Jane Russell: quando mi sono offerto di aiutarla perché camminava male mi ha insultato. Poi l’ho conquistata dandole il mio specchio per truccarsi: da un lato ingigantisce l’immagine. Era estasiata, se lo è portata via. Jennifer Lopez me la sono anche tatuata su una gamba: l’ho conosciuta quando non era famosa, per il suo primo film, Selena, e mi ha dato una sensazione potentissima: per lei sarei potuto diventare etero. Poi Cher, forse la più generosa, io la veneravo: in un’occasione, mentre beveva dell’acqua si è strozzata e ha iniziato a tossire. Mi sono detto: ma come, anche questa tossisce come tutti noi? Mi pareva incredibile. E ancora Ursula Andress, che aspetta la mia pasta con le sarde... Ma il sogno era conoscere Sophia Loren».
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Avverato?
«Sì, grazie a sua sorella che ha organizzato. Prima di vederla ho finito una bottiglia di coramina tanto ero agitato. Quando ha aperto la porta di casa le sono caduto tra le braccia».
Un’altra sua grande amica è stata Maria Schneider, vero?
«Ne ero forse un po’ innamorato. Lei mi chiamava marituzzo mio. Apparteneva alla mia stessa religione, come sono solito dire. Aveva capito che ero gay, ci siamo incontrati e mai più lasciati. Era fragile e sensibile, voleva più di tutto far dimenticare Ultimo tango a Parigi che l’aveva distrutta. L’ha aiutata molto Brigitte Bardot, anche economicamente e le sono riconoscente».
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Ha mai sofferto per l’omofobia?
«No e devo dire che mi sono sempre vestito come mi pareva: tacchi, trucco... eravamo più moderni allora di oggi. Certo, ripensandoci ho avuto porte chiuse in faccia forse perché ero gay, ma al momento non avevo associato la cosa».
La musica è il suo talento, il cinema la sua passione. E la televisione?
«La tv mi ha fatto diventare Malgioglio, il personaggio, questa sorta di puffo che diverte e si diverte. Ho molti amici anche in questo ambiente, ma non li frequento, salvo rare occasioni. Ora grazie a Coletta avrò un mio programma su Rai3, non vedo l’ora. Il mio sogno da ragazzo era diventare David Letterman. Avevo dei paranti a New York e li avevo fatti impazzire per avere i biglietti del suo show. Quando ci sono riusciti sono subito partito: in puntata doveva esserci proprio Cher, magnifico. Invece mi sono trovato Yoko Ono e ho assistito a una delle esibizioni più brutte mai ascoltate: era un urlo continuo, sono rimasto sconvolto».
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Come è nato invece il suo ciuffo?
«Per un caso, e dire che se tanti artisti stranieri mi riconoscono è per il ciuffo. Mi faccio da sempre io la tinta ma un giorno, al negozio in cui mi rifornivo, si erano sbagliati e mi avevano dato una polverina diversa. Mi si era formato così questo ciuffo color kaki. Ero disperato, ma poi ho provato a insistere: mi sono fatto una ciocchettina, e ancora una... iniziavo a piacermi. Mi sono detto: ma sembro un pulcino, adoro. Finché ho creato questa massa. Ora ho una formula per farlo, segreta come quella della Coca-Cola. Prevede anche miele, aceto e cannella più altri dieci ingredienti, puoi farci anche il panettone».
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La sua canzone della vita?
«I Close My Eyes and Count to Ten, di Dusty Springfield. Mi riporta al mio primo ragazzo, Phillip, un marinaio conosciuto in Liguria che mi prendeva in giro perché baciavo con la bocca chiusa. Non ero capace. Così lui metteva questo disco e diceva: quando dice che conta fino a dieci, lì tu apri la bocca. Lo seguivo in tutti i porti, per la disperazione di mia madre che non capiva questi miei spostamenti. A Barcellona ci siamo lasciati e ho passato per due anni le pene dell’inferno. Un giorno mi ha telefonato, anni dopo: si era sposato e aveva chiamato il figlio Cristiano».
Sogni per il futuro?
«Detesto i premi, mi mettono angoscia. Solo per un Oscar potrei cedere, ma per ora ho solo prestato la voce a un cane del film per bambini Show Dogs. I produttori americani sentendo la versione doppiata volevano farmela rifare. “Questo cagnolino è gay”, dicevano. Ma io ho detto: o così o niente, quindi è rimasta. Dunque il cane l’ho già fatto, ma il sogno sarebbe recitare per Almodovar. Certo, se non mi chiama ora però, quando? Faccio un suo film a 100 anni?».
Si sente una persona fortunata?
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«Mi sento miracolato. Ho scoperto per caso di avere un tumore maligno. Mi spalmavo la crema sulle gambe, e non lo faccio mai: ho visto un neo. Dovevo partire per il Brasile, sulla scia del successo di Mi sono innamorato di tuo marito. Per scrupolo mi sono fatto controllare e hanno deciso di operarmi subito, dicendo addirittura che altrimenti avrei avuto pochi mesi di vita. In quel punto avrei dovuto fare il tatuaggio di Jennifer Lopez, all’inizio. Poi, per mostrarlo di più ho preferito l’esterno della gamba. Se non avessi cambiato idea non me ne sarei mai accorto: posso dire che Jennifer Lopez ha fatto il miracolo».
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