1 - I CANI SONO PIÙ PULITI DEI PADRONI
Federico Foscale da “Anteprima. La spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti” e pubblicato da “Italia Oggi”
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Secondo una ricerca olandese dell'università di Utrecht, le zampe dei cani guida e di quelli da compagnia sono molto più pulite e igieniche delle suole delle scarpe dei loro padroni. Dallo studio è emerso che il 72% delle zampe esaminate risultava libero dalla contaminazione da enterobatteri, mentre solo il 42% delle suole delle scarpe ne era privo.
2 - LE ZAMPE DEI NOSTRI CANI SONO PIÙ PULITE DELLE NOSTRE SCARPE?
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L’igiene generale delle zampe dei cani è di gran lunga migliore di quella delle suole delle scarpe dei loro proprietari?
È questo il risultato portato al punto di uno studio condotto da ricercatori della Facoltà di Medicina veterinaria all’Università di Utrecht in Olanda e recentemente pubblicato sul International Journal of Environmental Research and Public Health.
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Questo articolo ci dimostra che a volte il pregiudizio sull’igiene riferita al mondo animale sia davvero forte. Ci parla di questo studio il Dott.Klaus Biermann, infermiere epidemiologo dell’AOU Meyer di Firenze e collaboratore del Centro Ricerca in IAA Antropozoa, Coautore di numerosi testi e articoli sugli interventi assistiti con gli animali, tradotti in inglese e tedesco, in questa intervista ci spiega quanto forte sono i pregiudizi sull’igiene animale, ricordando l’importanza della deontologia professionale nella comunità di operatori e dell’approccio scientifico alla Cura con l’Animale
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Quali sono gli elementi rilevanti di questa ricerca?
Si tratta di uno studio pilota che indaga sulla contaminazione delle zampe dei cani da assistenza e delle suole delle scarpe delle persone che dipendono dall’aiuto di questi cani, nonché sulle difficoltà che queste persone con la loro disabilità visibile o invisibile incontrano al momento di ammissione in ospedale.
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Le persone con disabilità spesso beneficiano di un cane da assistenza nella loro vita quotidiana. Nonostante che esistano anche in Olanda norme che garantiscono l’accesso dei cani da assistenza ai luoghi pubblici, spesso questo diritto viene ancora negato.
L’argomento principale per negare l’accesso è che i cani compromettono l’igiene delle strutture con la loro presenza, causando un pericolo per la salute di operatori e utenti.
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I ricercatori hanno analizzato la presenza di Enterobacteriaceae e di Clostridium difficile (batteri presenti nell’intestino che in determinate condizioni possono diventare patogeni per l’uomo) sulle zampe di cani sia da assistenza che da compagnia così come sulle suole delle scarpe dei loro “proprietari”.
I risultati dello studio dimostrano che nel 72% dei casi osservati le zampe dei cani non erano contaminate, mentre le suole delle scarpe non lo erano solo nel 42% dei casi. Anche nei casi in cui erano presenti batteri, le zampe dei cani avevano conteggi batterici significativamente inferiori rispetto alle suole delle scarpe delle persone.
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Lo studio conclude che le misure igieniche normalmente adottate da parte delle persone nel riguardo dei loro cani è sufficiente per prevenire qualsiasi contaminazione ambientale dovuta alle zampe dei cani.
La situazione in Italia è differente?
La “Pet Therapy” viene introdotta nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie in Italia con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri nel 2003.
Nello stesso anno, il Center for Disease Control and Prevention in Atlanta, USA, massimo centro di riferimento del settore sanitario, pubblica le Linee Guida per il controllo delle infezioni nelle strutture sanitarie, dedicando un intero capitolo agli animali. Già queste Linee Guida ci fornivano raccomandazioni di buona pratica per l’impiego di animali nelle strutture sanitarie.
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Nel 2015 vengono introdotte in Italia le Linee Guida nazionali per gli interventi assistiti con animali che rinforza l’adozione delle raccomandazioni del CDC di Atlanta ma anche delle esperienze fatte sul campo in questi anni come per esempio quelle fatte al Niguarda di Milano e al Meyer di Firenze.
Possiamo dire che da 20 anni ci occupiamo a 360 gradi degli aspetti relativi agli interventi assistiti da animali.
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I risultati dello studio dei ricercatori olandesi ci confermano quello che in modo più empirico abbiamo osservato con gli animali nei nostri ospedali – non risultano infezioni correlabili alla loro presenza.
Questo studio ci racconta come allora sia un fatto in primis di accettazione cultuale della presenza dei cani, anche d’assistenza. Vale anche per i cani impiegati in IAA?
Anche in Italia occorreva fare un salto culturale. La sicurezza igienico-sanitaria negli ospedali ha sempre avuto un ruolo centrale nell’organizzazione e nell’attuazione di cura e assistenza.
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Le infezioni associate all’assistenza rappresentano un grave problema nelle strutture sanitarie e studi internazionali confermano che è impossibile eliminare completamente il rischio ad esse correlato. Il rischio che l’animale in ospedale possa trasmettere malattie ai pazienti ha fatto sicuramente preoccupare i responsabili per la sicurezza igienico-sanitaria negli ospedali.
Le garanzie fornite dall’applicazione delle raccomandazioni delle Linee Guida e un’accurata pianificazione di ogni intervento assistito da animali finalizzata alla prevenzione dei rischi correlati ha permesso di concentrarsi sempre di più sugli effetti benefici degli IAA che, ormai, sono largamente dimostrati e riconosciuti. Gli IAA erano attività complementari molto diffuse all’interno dei nostri ospedali e strutture socio-sanitarie fino all’avvento della pandemia da SARS-Cov-2. Covid-19 ha bruscamente interrotto questa realtà, ma ha anche fornito l’occasione di riflessione e di ri-ingegnerizzazione degli interventi.
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Secondo te è cambiata la percezione epidemiologica negli ospedali negli ultimi 20 anni? Se sì come?
La salute degli esseri umani è intimamente legata alla salute degli animali e dell’ambiente. Più che di un nuovo concetto, si tratta di un approccio che sta rapidamente diventando un movimento internazionale basato su collaborazioni intersettoriali e formalmente riconosciuto a livello internazionale. Il cosiddetto movimento “One Health”, a cui fa riferimento, è un’evoluzione positiva ed inaspettata, emerso in seguito alla risposta globale senza precedenti alle recenti influenze aviarie, altamente patogene.
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“One Health”, riconoscendo che la salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi sono interconnessi, promuove l’applicazione di un approccio collaborativo, multidisciplinare, intersettoriale e coordinato per affrontare i rischi potenziali o già esistenti che hanno origine dall’interfaccia tra ambiente-animali- ecosistemi umani.
Nel caso specifico occorre prendere in considerazione non soltanto la possibilità di trasmissione di microrganismi patogeni dall’animale all’uomo ma anche, viceversa, dall’uomo all’animale.
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Gli animali impiegati negli IAA, oltre ad essere potenziali vettori per la trasmissione di microrganismi patogeni, possono diventare loro stessi, vittime di infezioni contratte dall’uomo durante lo svolgimento delle attività e costituire un potenziale serbatoio per microrganismi antibiotico-resistenti, che possono essere introdotti nelle strutture sanitarie.
Oggi, il fenomeno delle zoonosi inverse, cioè le infezioni che gli animali contraggono dagli uomini, merita una crescente attenzione, anche e soprattutto nell’attuazione degli IAA a qualsiasi livello, sanitario, sociale, scolastico e sono oggetto di studi a livello internazionale.
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Una revisione sistematica del 2014 ha dimostrato come le segnalazioni di malattie trasmesse dall’uomo all’animale sono in costante aumento ed includono soprattutto MRSA e il Virus dell’Influenza A. Gli animali da compagnia coinvolti da questo fenomeno nelle pubblicazioni scientifiche alla base del lavoro citato costituivano il 23%.
Protocolli più severi aiuterebbero?
Le Linee Guida a disposizione hanno permesso di elaborare dei validi protocolli basati su solide evidenze scientifiche; il benchmarking fra “committenti e fornitori” di IAA hanno fatto sì che questi protocolli siano ampiamente diffusi.
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No, non servono protocolli più severi, serve una rigorosa applicazione sul campo di questi documenti e, questa volta sì, un severo controllo della loro corretta applicazione. Ma non ci possiamo fermare qui.
Ora più che prima, e COVID-19 ci è stata da lezione, occorre combinare i protocolli esistenti con una metodica valutazione del rischio specifico, come da tempo è uso nei paesi d’oltralpe, una valutazione che si abitua a prendere in considerazione il rischio reciproco uomo-animale in un’ottica di “One Health”.
Linee Guida, protocollo basati sull’evidenza scientifica, valutazione del rischio metodica che porta ad un piano di sicurezza specifico per ogni intervento sono strumenti di lavoro nella nuova cassetta degli attrezzi per le IAA post-pandemia. E sulla cassetta degli attrezzi c’è la scritta “Deontologia professionale”.