Paolo Zaccagnini per Dagospia
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Certe notizie, fateci caso, hanno la forza di tramortirvi. Come se vi venisse inferta ua tremenda bastonata. A me e’ arrivata stamattina. Alle 10. La morte di David Jones, che tutti conosceranno come David Bowie. A 69 anni. E due giorni dopo il suo compleanno. Diciotto mesi dopo che gli era stato diagnosticato il cancro che poi lo ha ucciso.
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Posso dire che sono senza parole? E che alla realta’ mi ha portato solo una telefonata del mio amico Roberto D’Agostino da Roma? Lo dico. E lo ripeto. No, non ho letto ricordi, esami dei testi e della note, commemorazioni, contrizioni di rito della Critica Italiana, qui voglio solo ricordare David Jones. Un maestro. Come il suo, e mio, amico Lou Reed.
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Da dove iniziare con una vita cosi’ stracolma di fatti e di esistenze? Dal fatto che la sua ex moglie Angie ora e’ concorrente de “L’isola dei famosi” britannica? Celebrity solo perche’ fu sposata con David o perche’ Zowie Bowie, il figlio che ora si chiama Duncan Bowie, e’ uno dei registi inglesi piu’ rispettati? Oppure dal suo insaziabile appetito sessuale?
E chi se ne frega. A me interessa ricordare il giovane che esplose nel 1969, la famosa “Summer of love” e che da allora si e’ reinventato e rimesso in gioco parecchie volte. Che qualcosa non andasse per il verso giusto lo si era capito quando non era andato a Londra - viveva New York con la moglie, l’ex fotomodella etiope Imam, e la figlia – per presenziare all’apertura della grande mostra, grandissimo successo di pubblico e critica, che proponeva tutti i suoi piu’ famosi costumi di scena.
MORETTI E ZACCAGNINI EcceBombo WP
Invenzioni importanti come le canzoni che aveva scritto. E si era iniziato a parlare, sommessamente e scuotendo la testa, di cancro. No, no, non era possible. Non David Bowie. Creatura di altri fantasmagorici mondi. Non musicista rock. Artista a 360 gradi. Che aveva scelto il rock’nd’roll per esprimere la sua rabbia di ragazzo nato e cresciuto nelle dure periferie della Londra meridionale nel dopoguerra. Che voleva esprimersi e fare scandalo, se ce ne fosse stato bisogno, per scuotere quell’Establishment che aveva vinto, si’, la Guerra ma si apprestava a lavare e sciacquare le menti degli inglesi. E anche del mondo.
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Unica alternativa il rock’nd’roll. Ma non quello dei Beatles e dei Rolling Stones. Dentro e fuori il Sistema, per famiglie e non per famiglie. Buono e cattivo. No, no, qualcosa di estremamente, totalmente diverso. Un mondo, anzi mondi diversi, dove era necessario e d’obbligo reinventarsi sempre, andare oltre.
‘Further’, come c’era scritto sul grosso pullman che portava in giro per gli Stati Uniti di quegli anni lo scrittore Ken Kesey e i suoi hippes, la controcultura, l’Lsd, l’amore libero, la politica, molto spesso sanguinaria come cantava Neil Young nel suo celeberrimo brano ‘Four dead in Ohio’, alla guerra al Vietnam.
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Anni vivacissimi, di cui Bowie fu uno dei piu’ prepotenti motori musicali. Gli anni berlinesi, ad esempio. Al fianco di Lou Reed e James Osterberg-Iggy Pop. E prima Ziggy Stardust & the Spiders of Mars, Aladdin Sane, The thin white duke, sempre con accanto il fido, formidabile chitarrista Mick Ronson, padre del notissimo dj e produttore, Mark. Colonna della sua musica.
Come poi sarebbero stati in seguito Stevie Ray Vaughan, sostituito in tour da Earl Slick, per ‘Let’s dance’ poi Reeves Gabrels per gli ultimi lavori. Digressione importante: non perdetevi lo statunitense Gabrels quando verra’ a suonare con i Cure di Robert Smith.
Oggi sono davvero uno straccio ma penso che a chi leggera’ Zaccablog faro’un regalo d’annata, spero gradito. Al contrario dell’immagine pubblica, degli anni newyorchesi si sa poco o nulla nel privato Jones-Bowie era una persona colta, preparata, squisita, che aveva letto e leggeva molto e che amava. Sul serio, l’arte. Ci si poteva discutere senza essere interrotti da innumerevoli “really?” cioe’ “realmente’’?. E di tutto.
vanity ZACCAGNINI pavarotti u2 ZACCAGNINI BUDA E DAGO AL CONCERTO DEI CLASH A BOLOGNA
Figlio delle periferie londinesi piu’ pericolose e toste ma persona dai modi eleganti, con quel suo sguardo bicolore che mi faceva trasalire. Ignorante in oculistica, come in innumeravoli campi dello scibile umano, una volta gli chiesi perche’ usasse lenti a contatto di colori diversi. Si fece una gran bella risata, non mi insulto’ e mi spiego’ con dovizia di particolari il fenomeno. Aggiungendo., sorridendo, che il fenomeno non aveva mai minimamente impensierito ne’ la madre, casalinga, e tantomeno il padre, che lavorava per l’organizzazione benefica Dr. Barnardo’s.
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Grande David. Grandi concerti. Due su tutti. Il Let’s dance Tour all’arena romana di Frejus vicino Cannes, dove con Roberto vedemmo il Festival dove ero stato ospite l’anno precedente con ‘’Ecce bombo’’ di Nanni Moretti, gli Who che apparivano per la prima volta in pubblico dopo l’improvvisa morte dell’incredibile batterista Keith Moon causa overdose di eroina.
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E il Glass Spider Tour a Rotterdam, nello stadio che ospita le partite del Feyenoord. Palco gigantesco sormontato da un gigantesco ragno rosso. Alla chitarra il vecchio compagno di scuola Peter Frampton. Musica, gente. Musica. Pezzi, gente. Pezzi. Testi, gente. Testi. Ecco con Bowie non sapeva mai dove andare a parare, non sapevi mai cosa aspettarti, cosa sentire, cosa vedere.
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Avete un’idea di cosa sia uno concerto rock? Beh, cancellatela. Perche’ la liturgia rituale non si confaceva a lui, detestava ripetersi. E lo ha fatto anche con l’ultimo cd e il video del brano ‘Lazarus’. Il suo testameno visivo, anche se nei miei occhi restera’ sempre lassu’ su quel palco, elegantissimo, inarrivabile, imprendibile, imprevedibile.
E anche con la sua morte ci ha preso in contropiede. 69 anni fa compiuti due giorni fa e oggi non c’e’ piu’. Come Ian “Lemmy” Kilminster prima della fine dell’anno, ha saputo come morire con dignita’ da persona. Aggiungo che ha saputo, anni fa, distinguere e abbandonare, almeno in parte, il personaggio Bowie e tornare il signor Jones.
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E sfido chiunque a segnalarmi un suo album pessimo, uno dove non ci sia una scintilla d’Arte. E, come tutti gli Artisti, era un visionario. Come Villon o Baudelaire. Rimbaud e Lou Reed. Intelligente fino all’ultimo. Negli ultimo anni, sin da quando abitava in Svizzera a Vevey accanto al connazionale Charlie Chaplin londinese come lui, ci aveva abituato alla sua assenza. Ora e’ diverso, maledizione. E’ nella Space Oddity.
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