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    BRAND E PORTA A CASA - A MOSCA TUTTI IN FILA PER L'APERTURA DI " VUKSNO I TOCHKA", LA VERSIONE  RUSSA DI MCDONALD'S - IL MENÙ È QUASI IDENTICO: "SIAMO STATI COSTRETTI A RIMUOVERE ALCUNI PRODOTTI PERCHÉ TROPPO CORRELATI A MCDONALD'S, COME MCFLURRY E BIG MAC"  - SCOPPIANO LE PRIME PROTESTE FUORI DAI LOCALI: "RIVOGLIO IL BIG MAC", MA DA MOSCA FANNO SAPERE CHE IL GRUPPO STATUNITENSE HA IL DIRITTO DI RIACQUISTARE I SUOI FAST-FOOD ENTRO 15 ANNI: "È SOLO UN'OPERAZIONE DI FACCIATA…"


     
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    Rosalba Castelletti per “la Repubblica”

     

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    Il 57enne Valerij Zurin si è accaparrato lo scontrino "117". Il 31 gennaio del 1990 aspettò in coda oltre tre ore insieme ad altri 30mila cittadini sovietici «solo per entrare» nel primo McDonald's che apriva nella centralissima piazza Pushkin di Mosca. Il suo primo incontro con il capitalismo. Uno sguardo oltre la Cortina di Ferro. «Era una cosa mai vista. C'era gente arrivata da altre città dell'Urss», ricorda.

     

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    Trentadue anni dopo Zurin si è rimesso in fila davanti allo storico fast-food, uno dei primi 15 ex ristoranti della catena statunitense a riaprire sotto un nuovo nome russo, "Vuksno i tochka", Buono e basta. Anche se la folla stavolta è decisamente minore nonostante vengano distribuiti gadget e ci siano persino animatrici per i più piccoli. Dura appena il tempo di una proposta di matrimonio tra gli applausi e di una mini-protesta: "Rivoglio il Big Mac". «Il nome cambia, l'amore resta» è lo slogan sulla facciata specchiata.

     

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    Anche il logo è cambiato. Nulla a che vedere con i due iconici archi dorati: un punto rosso e due linee gialle oblique su sfondo verde a rappresentare due patatine e un hamburger stilizzati, ma disposti a formare una "M". Il menù, invece, è pressoché identico. Alcuni prezzi sono «lievemente aumentati» a causa dell'inflazione, ma restano «ragionevoli» per i canoni russi: 300 rubli, circa 3 euro, per un "Combo". C'è la solita scelta di cheeseburger e dessert, ma il Filet-o-Fish si chiama Fishburger, il Royal Deluxe Grand Deluxe e il prefisso Mc non c'è più.

     

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    «Siamo stati costretti a rimuovere alcuni prodotti perché troppo correlati a McDonald's, come McFlurry e Big Mac», spiega il direttore generale della catena, Oleg Paroev, promettendo «degni sostituti» in futuro. C'è ancora la Coca Cola, ma le scorte sono in esaurimento e presto sarà sostituita da bevande analcoliche locali. «Faremo di tutto perché i nostri clienti non notino alcuna differenza in termini di atmosfera, gusto e qualità», assicura Paroev.

     

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    Mentre assapora un cono, il 34enne Nikita Petrov, che ha lavorato qui nove anni, conferma: «A parte il nome e il logo, non è cambiato nulla. Il sapore è lo stesso». Tutt' intorno dipendenti in pantalone nero e camicia bianca si precipitano in giro come api in un alveare distribuendo hamburger o prestando assistenza davanti ai terminali.

     

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    Pochi marchi avevano in Russia la stessa potenza evocativa di McDonald's, una delle prime icone capitaliste a essere sbarcata in terra comunista. La sua decisione di sospendere a marzo le attività dei suoi 850 ristoranti e 62mila dipendenti per poi annunciare a metà maggio l'abbandono definitivo e la vendita all'imprenditore russo Aleksandr Govor era stata uno degli addii più simbolici tra gli oltre mille brand che hanno lasciato il mercato russo sulla scia dell'offensiva russa in Ucraina.

     

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    «All'inizio ero terrorizzata perché tutti i marchi con cui sono nata e cresciuta avevano chiuso, ora mi sto abituando. Non ho altra scelta, anche se non sostengo l'operazione. Spero che la gente smetta di morire e che tutto torni come prima», commenta la diciottenne Viktoria. «Spero che tornino anche altri marchi sotto altro nome», le fa eco il coetaneo Viktor orfano anche di H&M e Zara. «Non so più dove comprare vestiti».

     

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    L'apertura di 15 ex ristoranti della catena statunitense in chiave autarchica proprio nella Giornata della Russia, festa dell'orgoglio nazionale che commemora l'adozione nel '90 della dichiarazione sulla sovranità del Paese, è un messaggio chiaro di resilienza. Un tentativo di evidenziare la capacità del Paese di resistere alle sanzioni e all'esodo delle aziende occidentali. La fretta di riaprire è evidente: gran parte delle confezioni e dei bicchieri è bianca, mentre sulle salse il vecchio logo è stato imbrattato con un pennarello nero. Oggi dovrebbero aprire altri 50 ristoranti e poi dai 50 a 100 a settimana.

     

    Govor, imprenditore 62enne di Novokuznetsk, che dal 2015 gestiva già 25 ristoranti del gruppo americano, sostiene di aver pagato una cifra «simbolica». Cofondatore di una società di raffinazione del petrolio dopo aver fatto fortuna col carbone nella regione siberiana di Kemerovo, nota anche come Kuzbass, dove il figlio Roman è deputato del partito al potere Russia Unita, ha progetti ambiziosi: proporre piatti più speziati e raggiungere quota mille ristoranti entro 5 o 6 anni.

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    Anche se il gruppo statunitense ha il diritto di riacquistare i suoi fast-food entro 15 anni. Tanto che l'ex dipendente Petrov commenta: «È solo un'operazione di facciata. Ma ci dà comunque la possibilità di far fare passi avanti alla nostra economia».

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