Estratto dell'articolo di Aldo Grasso per www.corriere.it
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Il bambinismo di Piero Chiambretti. Era inevitabile che finisse così, impegnato nella lallazione televisiva, ossessionato dal “baby talk”, quella vocina che l’adulto usa per rivolgersi ai bambini.
Da quando Chiambretti non ha più alle spalle gente come Bruno Voglino o Romano Frassa o Gianni Boncompagni è tornato bambino (sto parlando di televisione, non della persona): ha cominciato a perdere la sua identità, a credere di essere altro da sé, a occuparsi di cose a lui estranee, a sbagliare programmi.
Ultima tappa: “La tv dei 100 e uno”, un piccolo kolossal di “piccoli fans” che scavalca la mezzanotte (Canale 5). È uno show troppo costruito in cui i bambini recitano a fare i bambini (lo stereotipo del bambino in tv), in una spirale di ricatti affettivi.
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[…] Spiace per Chiambretti. Quanto sono lontani i tempi di “Complimenti per la trasmissione” o “Il portalettere”! A un certo punto ha smesso di “crescere” professionalmente, ha cominciato a fare sempre lo stesso programma: costruire una cornice sontuosa per un baraccone da fiera. Adesso, alle “mirabili difformità” ha sostituto i bambini, ricavandosi il ruolo di novello Mago Zurlì.
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