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Micol Sarfatti per il “Corriere della Sera” - Estratti
Si è da poco laureata con 110 e lode in Scienze motorie a 47 anni, dopo successi sportivi e artistici.
Non si ferma mai?
«Volevo essere credibile nel raccontare lo sport, che mi ha dato tanto. Voglio divulgarne i benefici, dimostrare quanto è fondamentale per i ragazzi. Per farlo al meglio ho bisogno di una laurea. Adesso penso al dottorato e ho già frequentato un master».
Prima della laurea è stata finalista a Miss Italia nel 1997, vincitrice del Festival di Sanremo nel 1998, medaglia paralimpica e mondiale dell’atletica leggera, Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. Ha bisogno di un traguardo?
«Ho bisogno di tenere sempre allenate la mia testa e la mia volontà. Così tolgo l’attenzione dal dolore e lo trasformo in una fonte di ispirazione».
Il dolore è quello causato dalle malattie: retinite pigmentosa e degenerazione maculare. A 18 anni perde la vista.
«I sintomi erano iniziati a 12, purtroppo sono stati sottovalutati. Per i medici erano un eccesso di preoccupazione di mamma e papà nei miei confronti. Eravamo quattro fratelli, uno dei quali con un ritardo cognitivo, secondo loro questo aveva aumentato il livello di ansia verso i figli.
A 16 anni nascondevo il problema, vedevo sempre meno, mi ingegnavo per non farlo capire. Andavo a scuola a piedi, il tragitto diventava ogni giorno più faticoso. Mi appiccicavo alle compagne che facevano la stessa strada, la loro voce mi guidava.
Poi mi sono fatta regalare uno dei primi cellulari e fingevo di stare al telefono, la gente, vedendomi andare a sbattere, avrebbe dato la colpa alla distrazione. A 18 anni ho dovuto fare una visita medica specifica perché non ero più in grado di sostenere lo studio da sola senza un aiuto ed era necessaria una certificazione per l’esame di maturità. La malattia era all’ultimo stadio, poco dopo sono diventata cieca».
Cosa ha provato?
«Mi sentivo persa, finita. Mio padre mi spronò: “Al posto di dire perché proprio a me pensa perché non a me. Trasforma questo buio in luce”. L’ho fatto, ho coltivato la mia grande passione: la musica. Una sera, mentre mi esibivo in un locale, un’agente mi ha chiesto se fossi interessata alle selezioni di Miss Italia».
Approda al concorso di bellezza nel settembre 1997, a 21 anni. Le cronache del tempo riportano molte polemiche attorno alla sua partecipazione. Le critiche la ferirono?
«Dicevano che ero favorita perché non vedente. Sono arrivata settima in un’edizione agguerrita, con molte ragazze diventate famose: Elisabetta Gregoraci, Caterina Murino, Silvia Toffanin, l’ex ministra Mara Carfagna. Avevo legato con la vincitrice, Claudia Trieste. Le cattiverie erano tutte fuori, tra di noi andavamo d’accordo, il patron Enzo Mirigliani era attento e affettuoso. Il mio ricordo speciale però è legato al conduttore Fabrizio Frizzi».
Perché?
«Aveva intuito il mio amore per la musica, cantavo ovunque e mi diede l’opportunità di farlo durante la serata finale. Ci eravamo preparati su Diamante di Zucchero, lui mi avrebbe accompagnata al piano, ma al momento di annunciarla sono andata in confusione e ho detto “Canterò Caruso di Lucio Dalla”. Era perplesso, ma l’ha intonata. Fu un momento meraviglioso».
Cinque mesi dopo partecipa al Festival di Sanremo e lo vince con «Senza te o con te». Di nuovo polemiche: per Aldo Busi ha trionfato solo grazie alla malattia. Oggi la sensibilità verso la disabilità è molto cambiata. Quanta strada c’è da fare ancora?
«Un po’. Non amo il proliferare delle “Giornate”, non deve esserci un solo giorno per parlare di disabilità. Bisognerebbe fare un lavoro più importante con i ragazzi, devono conoscere quello che li rende speciali ancora prima di quello che li ha resi diversi e sentirsi sostenuti, anche a scuola.Per fortuna, nel dibattito pubblico, non si sentono quasi più commenti come quelli che toccarono a me. Ai tempi un solo artista mi difese pubblicamente».
Chi?
annalisa minetti luisa corna (2)
«Toto Cutugno. Disse che avevo vinto grazie alla mia voce e mi avrebbe aiutato ad affermarmi perché lo meritavo. Mantenne la promessa: nel 2005 mi portò con lui a Sanremo, nonostante la direzione artistica del tempo avrebbe preferito altri nomi. È stato un grande cantante, amato in tutto il mondo, in troppi lo hanno sminuito. In Italia lo abbiamo messo tra parentesi, un errore e un gesto di ingratitudine. Il mondo della musica non sempre è riconoscente con chi lo merita».
È per questo che anche lei lo ha lasciato?
«Non mi piego alle mode del momento. Amo il jazz, la melodia, non le barre del rap.
Ho provato più volte a partecipare a Sanremo con pezzi forti, ma non mi hanno presa.
Canto ancora, ma, a un certo punto della mia carriera, lo sport è diventato tutto».
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Con l’atletica ha vinto un bronzo paralimpico, medaglie mondiali ed europee. Ha avuto successi nella maratona, nel ciclismo e oggi nel triathlon e nel biathlon contro atlete che hanno meno della metà dei suoi anni. Non teme di essere un modello irraggiungibile?
«No, mi piace poter dimostrare che con la volontà e la consapevolezza si possono provare a superare i propri limiti e anche il dolore. Poi ognuno stabilisce quali sono i suoi obiettivi, non per tutti sono uguali. Il mio corpo mi ha tolto e mi ha dato. Sono pure madre di due figli, Fabio, 16 anni, ed Elèna, 6 anni. Per tanti non avrei nemmeno dovuto averli perché sono cieca, ma una madre vede con il cuore.
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