Vincenzo Martucci per “Il Messaggero”
naomi osaka in lacrime 4
Almodovar è superato, insieme al suo Donne sull'orlo di una crisi di nervi. Nel tennis delle donne che si allenano con gli uomini per picchiare la palla sempre più forte e battere in velocità i pensieri, la sensibilità sfocia nell'isteria e si confonde col politically correct.
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Fin dove si può e si deve intervenire nello sport professionistico che si esalta (e ci esalta) proprio spingendosi al limite? Sono casi limite degli eccessi o sintomi di una società e di una generazione? La domanda rimbalza imperiosa da Indian Wells nel deserto della California.
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CRISI SENZA FINE
Naomi Osaka che torna sul circuito dopo continui viavai solo grazie a una wild card degli organizzatori, da appena 78 della classifica, è lontanissima dalla leonessa dei tre mondi, mamma giapponese, papà di Haiti, radici Usa, nel 2018.
Ad appena 20 anni, domò l'idolo Serena Williams proprio a Indian Wells e poi anche a New York firmando il primo dei 4 Slam e salendo al numero 1 della classifica. Oggi soffoca nelle paure e nelle incertezze: basta un «fai schifo» urlato dalle tribune già nei primi game per rispedirla in lacrime sul lettino dello psicanalista emotivamente e tennisticamente battuta da Veronika Kudermetova per 6-0 6-4.
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Come altri campioni che sembrano invincibili e si dimostrano invece terribilmente fragili, Naomi sembra irrecuperabile per la ribalta: a giugno a Parigi è scappata dai giornalisti, oppressa dall'ansia e dalla depressione, a luglio ha saltato Wimbledon, ad agosto ha disputato per forza l'Olimpiade di casa, a Tokyo, ma negli ottavi s'è liquefatta, a settembre, dopo la nuova delusione, battuta dall'emergente Fernandez al terzo turno degli US Open, da campionessa in carica, è crollata in lacrime in piena conferenza stampa salutando la scena e la stagione in modo drammaticamente teatrale.
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A gennaio è rientrata agli Australian Open, dopo tre mesi di cure. «Tranquilli, sto bene, voglio solo provare piacere sul campo». Macché, battuta al terzo turno, è ripiombata in crisi.
Chi è oggi l'agnellino tremante che, con la voce rotta dal pianto, chiede all'arbitro che la spettatrice venga espulsa come nell'Nba, come può sperare che le venga consegnato il microfono per spiegare che ha disperatamente bisogno di amore?
Lei stessa capisce che la colpa non può essere di quell'unico cecchino del mondo crudele: «Volevo solo dirvi grazie. A essere onesta, quel grido non mi ha davvero disturbato ma prima di venir qui ho visto un video di quel che era accaduto a Venus e Serena e se non lo conoscete, dovreste guardarlo. Non so perché, ma mi è rimasto qui, in testa».
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INDIFENDIBILI
Si può davvero proteggere l'estrema sensibilità di un personaggio tanto di spicco, la più ricca tennista della storia con 57,3 milioni di introiti che le riconosce Forbes nel 2021 di cui solo 2.3 di montepremi e gli altri di sponsor?
Si può davvero cercare un filo comune fra il vergognoso linciaggio razzista cui fu sottoposta la famiglia Williams nella finale del torneo di Indian Wells 2001, con Venus Williams e il padre Richard accusati di aver favorito la piccola Serena? La risposta è no.
Vale per la 24enne miliardaria di Beverly Hills come per la ventenne Amanda Anisimova, emula della pioniera Maria Sharapova, con due genitori russi che sono emigrati nell'Eldorado dello sport a stelle e strisce per farla diventare campionessa.
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Esplosa presto, stoppata dagli infortuni e dalla scomparsa del solito papà-coach-motivatore, anche la ragazza allevata in Florida cercava un rilancio proprio a Indian Wells.
Così, oppressa dalle aspettative, contro Leyla Fernandez - ancora la tenace finalista degli ultimi Us Open - vinto il primo set 6-2, dopo aver dominato il secondo fino a 5-3, è entrata nel vortice delle proprie emozioni, mancando uno, due, addirittura quattro match point, s'è fatta agguantare sul 6-6, cedendo poi a zero il tie-break.
Dopo di che è scoppiata a piangere in panchina e, tra la sorpresa generale, ha stretto la meno all'avversaria e si è ritirata. Troppo sola: anche coach Darren Cahill l'aveva appena abbandonata.
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