DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”
tim cook alla presentazione dell'apple watch e3bee14
Non è facile accontentare i soci Apple, avrà pensato ieri sera Tim Cook, il ceo della Mela che ha promesso di lasciare in beneficenza un’eredità da 785 milioni di dollari dopo aver dato l’ultimo sguardo alle quotazioni di Wall Street: il titolo, dopo un inizio al rialzo, ha veleggiato per tutta la giornata attorno a variazioni modeste, per lo più al ribasso. Bella riconoscenza, si sarà detto l’erede di Steve Jobs, dopo che io e Luca Maestri (il chief financial officer romano, cresciuto alla Luiss) abbiamo annunciato di voler distribuire di qui al 2017, tra riacquisto di azioni e dividendi (11 miliardi di dollari), altri 70 miliardi oltre ai 130 che avevamo già promesso.
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Che altro dobbiamo fare, si saranno detti i due manager, oltre a riempire la Cina di iPhone, (quasi 17 miliardi di dollari, il 72 per cento di vendite in più negli ultimi tre mesi)? Le cose, probabilmente, non sono andate così. Anche perché Cook e il suo direttore finanziario possono consolarsi con una raffica di record. Nessuna società al mondo ha in cassa tanta liquidità quanto la Mela (193,5 miliardi, per tre quarti parcheggiati oltre confine, al riparo dal fisco Usa), nessuna, compresi i colossi del petrolio, si avvicina nemmeno da lontano al valore di Borsa della casa di iPad e iPhone: 772 miliardi e 652 milioni di dollari ai prezzi di ieri sera. Una cifra enorme che, tanto per fare un paragone, equivale più o meno a tre volte tanto i prodotto interno lordo della Grecia, pari a 241 miliardi di euro.
E tanto per proseguire in questo confronto paradossale, i profitti di un solo trimestre di Apple (13,6 miliardi di dollari) sarebbero sufficienti ad Atene per fare fronte alle cambiali da onorare nei prossimi mesi nei confronti del Fondo Monetario, dell’Unione europea e della Bce. E ancora: nei primi tre mesi del 2015 il giro d’affari di Apple (58 miliardi di dollari) è più o meno pari all’ammontare dei prestiti Ela, cioè della linea di credito d’emergenza aperta dalla banca centrale europea per alimentare la liquidità necessaria a far sopravvivere le banche greche.
È probabile poi che i ricavi dei primi giorni di vendita di i Watch (il dato non è stato reso noto, però Luca Maestri si è limitato a dire che «non ci possiamo lamentare») siano ampiamente sufficienti a garantire pensioni e stipendi agli statali tra Atene ed il Peloponneso, scacciando i fantasmi suscitati dalle scellerate mattane di Yannis Varoufakis, il ministro delle Finanze in disgrazia che potrebbe aspirare ad un ruolo a Hollywood piuttosto che a Silicon Valley. E così, di follia in follia, si potrebbe immaginare un piano indecente: perché Apple, che continua a macinare profitti assai superiori agli investimenti in R&S non medita l’acquisto della Grecia?
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È probabile che l’Unione europea possa accogliere a braccia aperte lo sbarco dei marines armati di iMac al suono dell’inno (trasmesso via iTunes, of course)? I 193 miliardi in cassa che la casa di Cupertino tiene al riparo dal fisco Usa con gran rabbia di Barack Obama potrebbero rilevare i debiti nei confronti di Bruxelles (che non superano i 150 miliardi di dollari). E, di fronte alla prospettiva di risolvere la crisi della Grecia, Unione europea e Stati Uniti potrebbero accordare un condono fiscale tombale.
La grande finanza internazionale, di fronte alle garanzie del magazzino della Mela, non esiterebbe a finanziare gli investimenti necessari per rilanciare l’economia ellenica. Certo, ci vuole fegato per immaginare un’Opa su uno Stato sovrano, seppure ad un passo dal default. Ma sognare non è proibito. E poi, qualche anno fa, una Mela portò la Grecia a battersi sotto le mura di Troia...
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