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FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE PHILIPPE DONNET
Andrea Greco per “la Repubblica”
Se il secondo addio in quattro mesi di Francesco Caltagirone dal cda Generali si rivelerà una mossa distensiva - o il contrario - per il Leone ferito, lo si capirà tra venti giorni. E anche guardando a Mediobanca, primo e storico socio della compagnia col 12,9%, sponsor delle nomine con la "lista del cda uscente", che ha portato a rinnovare l'ad Philippe Donnet il 29 aprile.
Vari "ambasciatori" sono allertati sui due fronti: ma finora le due parti negano ogni contatto ufficiale negli ultimi mesi. Soprattutto, non risulta che un compromesso possa esserci sulla testa di Donnet, o scavalcando il cda appena scelto dalla maggioranza dei soci, tra cui tutti gli investitori istituzionali esteri.
Alberto Nagel, capoazienda di Mediobanca appena rientrato da una settimana di road show tra Londra e gli Usa, non risulta avere contatti con Caltagirone dal giugno 2021.
Quando, in un summit romano, i due azionisti tentarono un accordo sui nomi del nuovo vertice del Leone. L'imprenditore voleva sostituire Donnet con un dirigente italiano, interno o esterno al gruppo, da scegliere insieme, e introdurre un dg.
Ma quella trattativa, avviata sui nomi di Sergio Balbinot presidente e Luciano Cirinà o Giovanni Liverani come capi operativi, saltò. Mediobanca in estate abbracciò la lista del cda, mentre Caltagirone prese un 3% di Mediobanca (già sotto scacco per l'ascesa di Delfin, ora al 19,5%) e iniziò a pensare a una sua lista per Trieste. Chi conosce Nagel sa che in questi mesi ha sempre predicato che, una volta scelto l'iter della "lista del cda" anche per Generali, ogni soluzione sulla governance e le strategie andava cercata e trovata all'interno del consiglio.
E da questa posizione non sarebbe arretrato dopo l'assemblea che ha rinnovato Donnet, reso più forte e accreditato di prima. L'11 maggio Nagel ha fatto un passetto pubblico, nel presentare i suoi conti trimestri, dicendo: «Credo sia opportuno per il bene di tutti gli attori mettere fine agli antagonismi su Generali, e coltivo la ragionevole aspettativa che ciò possa avvenire».
Ma anche ieri, saputo dell'addio bis di Caltagirone a Trieste, dentro Mediobanca non si accreditano scorciatoie sul metodo, che assegna al nuovo cda Generali ogni scelta sulle persone a capo del gruppo e sulle strategie. Entro un mese un paio di scadenze diranno se l'imprenditore romano potrà tornare a collaborare con il socio Mediobanca, il cda e il management. Oppure resterà minoranza dentro l'azionariato e in consiglio, pur se in blasonata compagnia (Leonardo Del Vecchio, suo sodale nella ricerca di soluzioni alternative per Generali, ha come lui quasi il 10% delle quote).
La prima scadenza, il 22 giugno, è la riunione del cda Generali in cui l'imprenditore non ci sarà più, ma in cui il sostituto tratto dalla sua lista dovrà valutare, con gli altri due membri della "minoranza Caltagirone", se accettare la mediazione che il comitato nomine interno sta studiando per ricomprendere le minoranze nei comitati consiliari. La seconda scadenza, solo tecnica, è il 17 giugno e riguarda le opzioni di vendita che Caltagirone comprò a suo tempo su circa il 2,5% del suo pacchetto Generali. Una modalità che ha usato più volte, anche per coprirsi da eventuali ribassi.
Tra 20 giorni, in sostanza, l'azionista romano avrà diritto a vendere a 18 euro quel che ieri in Borsa valeva 17,08 euro. Logica finanziaria vorrebbe che lo facesse: anche solo per ricomprare le stesse azioni a prezzi più bassi, guadagnandoci e restando investitore stabile e vicino alla quota attuale, come ha più volte fatto sapere. Ma non si può neanche escludere che, tra i chiari di luna congiunturali e l'occasione di fare cassa con plusvalenza, presto Caltagirone si alleggerisca un po'. Ora che non è più consigliere e soggetto all'internal dealing, finché resta sopra al 5% non deve comunicare niente alla Consob.
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