DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
1. DICHIARAZIONE ALITALIA SULLE NUOVE UNIFORMI
Le affermazioni di alcune organizzazioni sindacali sul rischio di infiammabilità delle nuove divise Alitalia sono gravi, non suffragate da alcun elemento concreto e perciò totalmente prive di fondamento.
Le divise hanno superato tutti i test sul rischio infiammabilità e rispettano nel modo più rigoroso gli standard di sicurezza imposti dalle normative vigenti.
La compagnia si riserva di procedere nelle sedi appropriate al fine di tutelare la propria immagine contro accuse palesemente infondate.
2. ALITALIA, BRUTTE COPIE 'CHEAP' DI CERTE UNIFORMI MEDIORIENTALI
Antonio Riello per Dagospia
Il recente accordo Alitalia-Ethiad ha già avuto la sua epifania: dagli ultimi giorni di Maggio le nuove uniformi di Alitalia sono visibili ai viaggiatori. Non hanno, in verità, incontrato una buona accoglienza da parte del personale di volo sia perchè pare che siano fabbricate con molta fibra acrilica (circa il 70%, troppa per gli standard di sicurezza di volo della IATA) sia perchè sembra che, indossate, diano tattilmente l’ idea di un abito un po’ “cheap”.
Disegnate dal milanese Ettore Bilotta, con materiali solo italiani (chi lo sapeva che producessimo in Italia così tanta fibra sintetica ? comunque vengono citati nel comunicato stampa di Alitalia la Toscana, Como e la Puglia) avrebbero lo scopo di rimpiazzare le longeve uniformi disegnate da “Mondrian” - per carità non l’artista! -nell’ormai lontano 1998.
Abitualmente le uniformi della compagnia di bandiera di un paese cercano coniugare visivamente gli ovvi aspetti ergonomici con il “genius loci” nazionale , almeno in termini di stile e tradizione. Alitalia ha una variegata serie di esperienze cha hanno coinvolto negli anni parecchi stilisti. Dalle sorelle Fontana (1950) a Giorgio Armani (1991) passando per Mila Schön (1969) e Delia Biagiotti (1960).
In quasi tutte queste soluzioni stilisticamente differenti il leitmotiv era costituito da un bel verde pieno che funzionava come colore dominante (ovvio riferimento al tricolore). E soprattutto traspariva facilmente, da tutte e in qualche misterioso modo, un senso di eleganza italiana, una nota sottile, ma immediatamente identificabile. Un senso di qualità, se così si può dire.
Si sa, è comune e deprecabile abitudine italiana salutare ogni novità con lamenti e improvvise nostalgie. Ma stavolta qualcosa di corretto nelle lamentele dei dipendenti (e sembra anche di parecchi viaggiatori) sembra ci sia.
Questa nuova proposta spiazza intanto per l’ampio e prepotente uso di un rosso piuttosto scuro (omaggio trasversale ai Garibaldini ? improbabile.... In effetti sembra piuttosto un “rosso cardinale”....Forse un devoto pensiero al cardinal Bertone ? improbabile comunque....). La stoffa è stampata con il metodo “chevron” (così viene strombazzato come fosse una grande figata nel comunicato stampa di Alitalia, in realtà si tratta banalmente un motivo a “spina di pesce”). Il taglio dell'abito senza particolare "carattere" non aggiunge certo niente di nuovo a quella precedente (la "Mondrian" appunto).
Dà piuttosto l’idea di quelle cosette genere “instant-fashion” che si trovano a Londra da Primark e in Italia sulle bancarelle dei mercati settimanali. Per gli assistenti di volo di sesso maschile i cambiamenti sono meno accentuati, andiamo un po' meglio, si rimane per fortuna sostanzialmente nello stile "aviazione", ma con risultati finali relativamente scialbetti.
Ma c’è di più. Anche nel contesto attuale di contaminazione culturale (assolutamente positivo) e di mescolanza (sacrosanta) degli stili questa nuova uniforme e il suo atroce cappellino (sempre rosso) non danno solo la triste immagine di un paese in gravi difficoltà economiche ma anche di un paese (almeno un po') “culturalmente colonizzato”. Una uniforme, qualsiasi uniforme, è sempre basata, prima di qualsiasi altra cosa, sulla celebrazione di una appartenenza.
L'elemento identitario, molto meglio se raffinato e non trivialmente folkloristico, ne dovrebbe comunque costituire la principale ragione d'essere. Queste dell'Alitalia invece sembrano abbastanza le (brutte) copie delle uniformi di certe linee aeree del medio oriente (che è meglio non citare). Verrebbe quasi da dire che manca solo il velo alle nostre hostess. Naturalmente ogni riferimento o pensiero che corresse automaticamente al socio di Alitalia, Ethiad, è qui puramente casuale.
3. ALÌ ITALIA
Massimo Gramellini per www.lastampa.it
Direttamente da un incubo della Fallaci o da un romanzo di Houellebecq sull’Europa Saudita, ecco le nuove divise della compagnia aerea fu-italiana, ora di proprietà della Etihad di Abu Dhabi. Le ha disegnate un milanese, ma il committente è musulmano e si vede. Dalla punta dei capelli a quella dei piedi, sarebbe vano cercare un centimetro di pelle scoperta. Oltretutto l’hanno coperta male.
L’Alitalia ha negato che i tessuti siano infiammabili, ma non può smentire che siano brutti. Immagino che l’abbondanza di rosso e verde intenda omaggiare la bandiera (il bianco è garantito dalla faccia disperata delle hostess quando si osservano allo specchio). Ma non conosco una sola donna italiana che indosserebbe delle calze verdi, se non sotto la minaccia di un plotone di esecuzione.
E anche lì, come ultimo desiderio, chiederebbe di sfilarsele. Un’anima bella si sforzerà di vedere in questa immagine da rivista Anni Cinquanta il recupero della sobrietà perduta, ma senza il buongusto di allora. Io vi leggo la certificazione di cosa succede quando un bene italiano finisce nelle mani di una cultura che, quantomeno in materia di donne, si trova nelle condizioni più di prendere esempi che di imporne.
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