DAGOREPORT - 'STO DOCUMENTO, LO VOI O NON LO VOI? GROSSA INCAZZATURA A PALAZZO CHIGI VERSO IL…
Carlo Bonini per “la Repubblica”
Lo stallo delle relazioni diplomatiche è, resta, e ragionevolmente continuerà ad essere nelle prossime settimane, se non mesi, la risposta politica di Palazzo Chigi al Regime di Al Sisi sulla vicenda Regeni. Di fatto, dopo il richiamo a Roma del nostro ambasciatore al Cairo per consultazioni (l' 8 aprile, subito dopo il fallimento del vertice di Roma tra i nostri inquirenti e la delegazione egiziana) e la sua nomina ad altro incarico (Maurizio Massari è diventato il nostro rappresentante permanente presso l' Ue), la situazione non è infatti cambiata neppure con la nomina del nuovo ambasciatore in Egitto, Giampaolo Cantini.
Indicato il 10 maggio scorso come il nostro nuovo capo missione al Cairo, Cantini non ha infatti ancora messo piede in Egitto perché la Farnesina non ha sin qui ancora compiuto quel passaggio necessario all' insediamento e alla presentazione delle credenziali che è la "richiesta di gradimento" alle autorità egiziane. Un atto formale che ripristinerebbe la normalità dei rapporti diplomatici tra i due Paesi, che, al contrario, da due mesi sono di fatto congelati con la presenza al Cairo di un semplice incaricato d' affari, il vice- capo missione dell' ambasciata Stefano Catani.
Convinto che, di fronte a un regime quale quello egiziano, l' unica strada percorribile nella ricerca della verità sul sequestro e l' omicidio di Giulio Regeni sia quella di esplorare fino al suo esaurimento la cooperazione giudiziaria, Palazzo Chigi continua infatti a subordinare ogni ulteriore decisione politica e mossa diplomatica al grado di soddisfazione della Procura di Roma di fronte alle richieste avanzate nell'ultimo mese con le sue rogatorie.
E dunque l'assenza del nostro ambasciatore al Cairo è destinata a proseguire fino a quando da piazzale Clodio non dovessero arrivare segnali positivi. Di cui, al momento, non solo non v' è traccia, ma non sembrano esserci neppure le premesse. A dispetto infatti dell'enfasi con cui la Procura Generale del Cairo aveva annunciato nelle settimane scorse l'invio di quegli atti su cui si era consumata la rottura nel vertice di Roma di inizio aprile, le nuove carte - per quanto ne riferiscono qualificate fonti inquirenti - continuano ad essere «parziali e contraddittorie».
I TUTOR INGLESI DI REGENI PROTESTANO CONTRO AL SISI
Soprattutto su un punto cruciale per l'inchiesta: il traffico delle celle telefoniche di tre zone chiave del Cairo, su cui la Procura generale non ha fornito alcun dato materiale (le utenze agganciate), ma soltanto una relazione del ministero delle comunicazioni egiziano sulla loro analisi. E per giunta monca, dal momento che le celle analizzate risultano due su tre.
Il regime, insomma, continua a fare quel "minimo sindacale" sul piano della cooperazione giudiziaria che è sufficiente a non far rovesciare il tavolo, a non degradare ulteriormente i rapporti politico-diplomatici tra i due Paesi, ma che è assolutamente inutile a qualsiasi progresso investigativo.
Un canovaccio destinato a protrarsi sine die, perché Al Sisi, come del resto è chiaro ormai da mesi, ha scelto di scommettere sul trascorrere del tempo, sullo sfinimento dell' opinione pubblica e su una prova di forza con l' Italia e l' Europa nei rapporti strategici e militari in un quadrante di mondo decisivo per i flussi migratori e la stabilizzazione della Libia. Consapevole che l' Italia non può permettersi di far precipitare la situazione sull' inchiesta Regeni se non di fronte ad atti di aperta ostilità. A maggior ragione dopo aver misurato, su questa vicenda, il suo isolamento internazionale.
Ad eccezione della Casa Bianca, che con il Dipartimento di Stato ha continuato a esercitare pubblicamente pressioni sul regime, la Francia prima e l' Inghilterra poi hanno dimostrato, nei fatti, di giocare un' altra partita.
In aprile, Hollande ha firmato al Cairo commesse miliardarie per nuove forniture di armi. Nei giorni scorsi, a Cambridge, il pubblico ministero Sergio Colaiocco è stato garbatamente messo alla porta da quella comunità accademica di cui Giulio era figlio adottivo, ma che ha ritenuto di doversi rifiutare di rendere testimonianza su dettagli e circostanze utili a cercare la verità sulla sua morte.
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